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Osservai la prima pagina del giornale che Keaton stava sfogliando pigramente, mentre addentava una brioche alla marmellata. In un piccolo paragrafo in basso a destra, c'era il titolo "uomo si sveglia dopo 20 anni di coma".

Provavo una leggerezza allo stomaco ogni volta in cui lo rileggevo, e mi venivano gli occhi lucidi, ma non per la tristezza o l'angoscia.

Per una volta, erano lacrime di gioia, le più belle della mia vita.

Qualcuna di esse cadde nel mio the, radunandosi sulla superficie della bevanda come una piccola goccia di luce. Mi affrettai a berle, per poi posare la tazza ripulita sul piattino. Etienne continuava a distogliere l'attenzione degli altri da noi e quindi era un po' distratto, ma riusciva comunque a chiacchierare e pavoneggiarsi nello specchio, calcandosi bene il berretto Thug Life sulla fronte.

Aveva chiesto alla commessa solo tre fette di limone. Lei l'aveva guardato con aria stranita, ma l'aveva accontentato, e lui se le stava sgranocchiando sovrappensiero, emettendo dei risucchi che mi facevano scorrere dei brividi di disgusto lungo la schiena.

- Potresti piantarla? - mormorai, dopo l'ennesimo, sonoro risucchio.

- Perché? Mi piace la frutta - protestò Etienne, con aria innocente.

Non gli credevo molto, ma sospirai, tornando a occuparmi del mio the e i biscotti. Il mio corpo stava cambiando e alcuni gusti non mi piacevano più come un tempo. Da umano avevo detestato i biscotti al pistacchio, mentre ora avrei mangiato pistacchi tutto il giorno. Mi chiesi se, una volta che la mia metamorfosi fosse stata completa, avrei ancora dovuto mangiare, e cosa mi sarebbe piaciuto.

Dopo che ci fummo ingozzati per bene ed Etienne ebbe terminato di ciucciare sgradevolmente le bucce di limone per poi sputarle con grazia sul piattino, salimmo in macchina e ci dirigemmo verso la casa di mio fratello.

Era da anni che non andavo a casa sua.

Si trovava in centro a Londra, in cima a un lussuoso grattacielo luccicante non molto lontano dalla zona della London Eye e il Big Ben.

Mentre osservavo i branchi di turisti che facevano foto all'emblema di Londra, muniti di bastone per i selfie, pensai che mi sarebbe mancato questo strano, piccolo mondo pazzo, che aveva tanti, innumerevoli difetti, ma era stato la mia casa finora, e alla fine mi ci ero affezionato. Nonostante tutto quello che mi era successo e avessi avuto l'occasione di vedere il peggio dell'uomo, avevo visto anche il suo meglio, e mi sarebbe dispiaciuto lasciarlo. Dispiaceva sempre lasciare quello che si conosceva. L'ignoto, per quanto ricco di promesse e speranze, sarebbe stato sempre un interrogativo spaventoso. Ed era lì che io sarei andato, se avessi seguito gli Esper, i miei simili.

*

Quando giungemmo alla base del grattacielo dove viveva Trevor, Keaton si fermò con la macchina davanti all'edificio, e io scesi, ben avvolto nel mio giubbotto, il cappuccio abbassato sulla fronte.

Entrai e venni fermato dal portinaio, cui mostrai la mia carta d'identità, dicendogli che ero il fratello di Trevor Sanders. Lui mi guardò con le sopracciglia aggrottate, chiedendosi se fossi il tipico fratellino schizzato e problematico, lo scheletro nell'armadio di un uomo facoltoso, ma, dopo aver comunicato con Trevor attraverso l'interfono, mi lasciò andare.

Salii in ascensore e osservai Londra scorrere davanti ai miei occhi. Era così bella, vista dall'alto. Di notte diventava una serie di luci nell'oscurità, come se tutte le stelle dell'universo si fossero radunate lì, e si riusciva a vedere molto bene la London Eye, simile a una corona di spine lucenti.

L'appartamento di Trevor era proprio in cima, da dove si poteva vedere ogni cosa. Una volta che ebbi raggiunto il suo piano, mi fermai un istante in corridoio e guardai in basso, con un profondo sospiro.

Esper (da revisionare) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora