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Io e Yates eravamo seduti al bancone di un pub. Lui continuava a far roteare il ghiaccio all'interno del suo whisky con aria assorta, mentre io sorseggiavo placidamente un Margarita. Era passato talmente tanto tempo da quando avevo assaggiato qualcosa dal gusto intenso, che mi pareva di essere uscito da un ospedale e di essere in un corso di riabilitazione alla vita vera. Le ferite che avevo riportato la notte dell'incidente si erano quasi del tutto riassorbite, sebbene camminassi ancora con cautela, come un vecchietto.

- Cosa volevi dirmi? - chiese Yates, guardandomi con la coda dell'occhio. Aveva delle profonde occhiaie violacee simili a lividi, e la barba incolta. Sembrava che non dormisse da giorni e profonde rughe di tensione gli segnavano il viso.

- Ho convinto Keaton a collaborare. - mormorai, guardandomi alle spalle per controllare che nessuno dei suoi scagnozzi mi stesse spiando. Avevo dovuto ricorrere a tutto il mio potere di persuasione per convincerlo a lasciarmi solo con Yates, usando come giustificazione il fatto che l'ispettore sarebbe stato più propenso ad accettare, se gli avessi parlato in privato. Fra lui e Keaton non correva buon sangue, quindi quest'ultimo aveva accolto quasi con sollievo questa possibilità. Tuttavia non ero tanto ottimista da sperare che non avesse installato delle cimici per origliare la nostra conversazione. Per quanto riguardava le telecamere, confidavo nel poco preavviso con cui avevo scelto il luogo del mio incontro con Yates, pregando che Keaton non avesse avuto il tempo sufficiente a installarne nel locale. In ogni caso, il direttore del GOPEP aveva creato un collegamento audio con me attraverso un auricolare che tenevo nell'orecchio destro, in modo da poter sentire tutto ciò che dicevo.

L'unico modo che avevo per comunicare con Yates era per iscritto.

Presi la penna a sfera che mi ero infilato nella manica del giubbotto e feci cenno a Yates di tacere, mentre scrivevo sul tovagliolo umido che mi avevano consegnato con il cocktail.

"Cerchi la sorella di Seiko, la prima vittima. È una Esper. Devo mettermi in contatto con lei, potrebbe aver scoperto qualcosa di importante."

Yates lesse con espressione neutra, mentre sorseggiava il whisky, per non dare nell'occhio. Appallottolò il tovagliolo in una mano e lo fece scomparire all'interno della manica sinistra del cappotto.

- Ah, ma davvero? - continuò, come se non fosse accaduto niente. - Credevo che Keaton non ne volesse sapere di me.

- Le circostanze l'hanno spinto a cambiare idea. Bisogna porre freno a tutte queste morti, non c'è più posto per l'orgoglio o l'invidia. Yates, lei sa che abbiamo a che fare con qualcosa più grande di noi, e tutti i suoi colleghi hanno dovuto riconoscere la veridicità delle indagini di Keaton. Dobbiamo lavorare come una squadra, se vogliamo mettere quell'assassino dietro alle sbarre, dove non potrà più fare del male a nessuno.

Il volto di Yates si aprì in un sorriso sghembo, i piccoli occhi acquosi che scintillavano di tetra ironia.

- Sei davvero convinto che basterà una semplice prigione per contenere un mostro del genere? - sussurrò, serio.

Io aggrottai le sopracciglia, a disagio. Ero stato troppo impegnato a riflettere su come catturare il mostro, per pensare ad un modo con cui contenerlo in seguito.

- Tu stesso sei riuscito a liberarti dalle costrizioni che ti aveva imposto Keaton. Qualsiasi ostacolo materiale che forniremo all'assassino, lui potrà comunque arginarlo con facilità. Nemmeno i soldati servirebbero a fermarlo, se è potente come dici.

Per quanto mi costasse ammetterlo, Yates aveva ragione.

- Se non possiamo rinchiuderlo, come faremo? - rantolai, rivolto più a me stesso che a lui.

Yates mi scoccò un'occhiata significativa, che mi fece percepire una sensazione di vuoto allo stomaco.

- No. - gorgogliai, scuotendo la testa.

- Gene, è l'unico modo.

- Non ho nessuna intenzione di ucciderlo. - ribattei, furioso. Gli occhi cominciarono a pizzicarmi e vi premetti sopra i palmi delle mani per ricacciare indietro le lacrime. Una parte di me aveva sempre saputo che sarebbe finita in questo modo. Keaton voleva tenermi fra i suoi soldati solo per usarmi come arma umana.

Yates esitò, poggiando il bicchiere sul bancone.

- Questo essere è una macchina di morte, Gene.

Agghiacciato, scesi dallo sgabello, guardandolo con occhi sbarrati. Non poteva davvero chiedermi di fare questo.

- Non rovinerò un'altra vita. Non ci sarà un altro Cornelio, in nessun universo possibile. - sibilai.

- Allora dovrai trovare un altro modo. - ribatté lui, con altrettanta decisione, fulminandomi con lo sguardo. Ormai ci stavano guardando tutti, ma non mi importava. - Credi che sia facile per me, affrontare ogni volta le famiglie di chi è morto, o semplicemente contemplarne il cadavere all'obitorio? È da quattro anni che va avanti così, Gene: sono esausto. Se dipendesse da me, ammazzerei questo pazzoide senza esitare.

- Ma chi sei tu per decidere della vita altrui? - rantolai, giunto al punto di rottura. - Non sono ancora un assassino e non ho intenzione di diventarlo per colpa di quel mostro! Ha già preso la mia libertà, non gli permetterò di portarmi via ciò che mi rimane.

Esper (da revisionare) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora