Mi svegliai di soprassalto, disteso in un lettino del tutto sproporzionato rispetto al mio corpo. Il mio respiro era accelerato, il cuore galoppava in una corsa disperata. Avevo avuto l'ennesimo incubo.
Mentre osservavo il soffitto con sguardo assente, ancora sconvolto per il sogno, realizzai di non trovarmi più al GOPEP. E nemmeno a casa mia, di Lucy o di Trevor. Non conoscevo la geografia di travi basse e sporgenti davanti a me, logorate dai tarli, e nemmeno gli adesivi fosforescenti a forma di stelle e pianeti che addobbavano la camera. Era la stanza di una bambina.
All'improvviso sentii una gran sete e mi misi seduto. Fu in quel momento che la mia identità cominciò a confondersi. Gene Sanders divenne un nome estraneo.
Io ero Agatha Hoffmann. Avevo otto anni e vivevo in una villetta nei pressi di Trento. I miei genitori andavano sempre lì per le vacanze, perché gli piaceva la montagna e, soprattutto, amavano la varietà del paesaggio italiano. Usavano la villa come avamposto per viaggiare per lavoro, e mi lasciavano lì in compagnia di mio nonno materno, Giovanni. Lui, come mia madre Teresa, era italiano. Mio padre August, invece, era tedesco. Lavoravano per una ditta di assicurazioni che aveva una sede sorella in Trentino Alto Adige, il che li spingeva a venire spesso in quella villa, malgrado ci passassero poco tempo, persino quando erano in vacanza. Capitava che mi sentissi sola, ma per fortuna c'era il nonno con me.
Avevo bisogno del suo conforto. Lui era l'unico che capisse come mi sentissi, dopo uno dei miei incubi. Sin da quando ero nata, i miei sogni erano stati popolati da visioni orribili, tali da togliere il sonno persino ad un adulto. Mi chiedevo se quegli incubi fossero una maledizione o, semplicemente, fossi pazza: immagini tanto crude e violente non avrebbero dovuto popolare l'immaginazione di una bambina.
In sogno e nei momenti in cui ero più rilassata - e, dunque, più vulnerabile - riuscivo a vedere la morte o la sofferenza delle persone. Quella notte, per la prima volta, avevo visto la morte dei miei genitori. Corsi da mio nonno, in lacrime, e lo svegliai. Lui mi guardò con occhi assonnati, poi mi fece posto nel lettone. Mi rannicchiai sotto le coperte al suo fianco, nel posto freddo dove anni addietro dormiva la nonna, morta giovane.
- Cosa c'è, piccola mia? - chiese, accarezzandomi la testa con una mano ruvida e callosa, resa tale dal lavoro nella stalla.
- Ho fatto un brutto sogno. - riuscii a dire, fra un singhiozzo e l'altro.
Gli parlai del fatto che avevo visto la morte dei miei genitori e lui mi ascoltò in silenzio, l'espressione grave.
- Sono cattiva, se vedo queste cose? - gli domandai ad un certo punto, tirando su col naso.
- Tutti abbiamo dei brutti pensieri, Aggie, nessuno escluso. Anche io ne ho. Però è proprio questo che sono: pensieri. Nient'altro. Esistono solo nella tua mente, e non possono farti del male, né farne ad altri. Non significa che sei cattiva. Anche le persone più buone fanno degli incubi, ogni tanto.
Le sue parole mi confortarono. All'epoca era così facile rasserenarmi. Con gli anni, invece, nessun abbraccio o parola dolce riuscì più a smuovermi dal grigiore che mi circondava.
I sogni che mi tormentavano finirono per indurirmi, derubandomi dell'infanzia.
Il nonno cominciò a soffrire di demenza senile e, neanche un anno dopo, lo ricoverarono in una clinica privata, dove si spense qualche mese più tardi. Non avendo neanche il suo supporto, mi trovai sola.
Sognavo un amico e pregavo che i miei genitori mi stessero più vicini, ma erano sempre così impegnati. A stento ci parlavamo, persino durante il periodo autunnale e invernale, durante il quale ci trovavamo tutti e quattro a Monaco, nel nostro piccolo appartamento in centro. L'affitto era molto caro, ma ai miei non importava. Il che era assurdo, dato che spendevano in quell'alloggio solo la notte e al massimo un'ora nel resto della giornata. Mi trovarono una babysitter che faceva tutto per me e contattarono anche mia cugina Greta, una ragazza di cui io finora non avevo nemmeno immaginato l'esistenza. Era la figlia della sorella minore di mia mamma e aveva accettato di badare a me.
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Esper (da revisionare)
Science FictionUna serie di suicidi inspiegabili piaga Londra e dintorni. Attraverso atmosfere goth, le vie caotiche di Camden Town e i cieli plumbei e pesanti della città, Gene Sanders cercherà di scoprire chi è l'assassino. Dove si trova? Fuori o dentro di lui...