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- Sanders. Sanders, svegliati.

Aprii gli occhi di scatto, tornando in me con un sussulto. Ero disteso nella solita brandina, le braccia bloccate dalla camicia di forza.

Davanti a me c'era l'ispettore Yates. Mi stava guardando con aria grave, le sopracciglia contratte in una riga severa.

- Ispettore... - rantolai, con un filo di voce. Una risata mi risalì lungo la gola, senza che io riuscissi a fermarla. Era amara, velata di pianto. - ... A cosa devo il piacere di questa visita?

Lui trasse un profondo sospiro, quindi, sempre tenendomi d'occhio, cominciò a sciogliere le cinghie della camicia di forza. Non mi sarei mai aspettato una cosa del genere, e lo stesso valeva per le due guardie che si trovavano alle spalle di Yates, con dei teaser sottomano.

- Rilassatevi, ragazzi. È tutto sotto controllo. - gli disse, con una nota di rabbia nella voce.

- Lei non l'ha visto, due giorni fa. Ci è mancato poco che uccidesse il direttore.

- Keaton mi ha raccontato una storia diversa. Sanders non gli avrebbe fatto del male, l'aveva già lasciato andare, quando l'avete sedato. Non farà nulla per ferirci, vero?

Calcò quel "vero", scoccandomi un'occhiata minacciosa.

Io, che ero troppo confuso per ragionare in modo coerente, annuii.

Yates terminò di sciogliere le costrizioni che mi bloccavano, quindi mi passò un braccio attorno alle spalle, aiutandomi. Le ginocchia mi tremavano, ero molto debole. Risentivo ancora degli effetti del sedativo, e provai una forte nausea. Avrei vomitato, se nel mio stomaco ci fosse stato qualcosa da rigettare. Non ricordavo nemmeno l'ultima volta in cui avevo ingerito qualcosa di solido.

- Ecco, ragazzo. Forza, reggiti a me. - mi incitò, spingendomi verso la porta, tenendomi ben stretto ogni volta in cui le gambe mi cedevano o mi lamentavo per le vertigini.

Le guardie ci stavano alle costole, e sentivo i loro sguardi sospettosi sulla schiena. Se avessi fatto il minimo passo falso, sarebbero stati pronti a tramortirmi.

Non che li biasimassi, visto come mi ero comportato. Non ricordavo molto dell'accaduto, solo la mia chiacchierata con Keaton. Pregavo di non avere fatto altre vittime, mentre mi dirigevo verso il suo studio in preda alla furia omicida.

Mi condussero in una stanza completamente bianca, disseminata di lettini, separati da dei paravento verdi: un'infermeria. Era tutto talmente pulito che il pavimento era accecante e rifletteva la nostra immagine come uno specchio. Avevo un aspetto terribile, la larva umana che mi restituì lo sguardo non sembrava affatto Gene Sanders, ma un mentecatto che rivede la luce dopo secoli di reclusione.

Mi fecero sdraiare su uno dei lettini, e Yates scacciò le guardie dalla stanza, dicendo loro che voleva conferire con me in privato.

I due lo guardarono con aria dubbiosa, poi si strinsero nelle spalle, come se volessero dire "beh, la vita è la tua. Se vuoi ammazzarti, non è un nostro problema.", e se ne andarono.

Una volta che si furono chiusi la porta alle spalle, Yates si sedette sul bordo del letto e mi porse un succo alla pesca che aveva tenuto nella tasca del suo cappotto.

- Del succo? - rantolai, afferrandolo. Avevo le dita intorpidite e, nel vedere la bevanda, lo stomaco mi brontolò dolorosamente. Non attesi il suo permesso per cominciare a bere.

Yates mi osservò in silenzio mentre lo svuotavo. La nausea dovuta alla prolungata mancanza di cibo e il mal di testa si attenuarono per qualche istante, rendendomi più lucido.

Esper (da revisionare) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora