Capitolo 52

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-Dove stai andando?- Crystal apparve sulla soglia della camera di Jonathan e lo vide intento a preparare le valigie. Stava raccattando tutti i suoi vestiti e libri che si era portato dietro e con rabbia li ficcava con forza dentro la povera borsa. Continuando a muoversi da una parte all'altra della stanza, parlò respirando affannosamente e Crystal avvertì lo sforzo nel contenere un tono calmo.

-Me ne ritorno a casa mia. Non fraintendermi, sono felice di averti ritrovato, ma in questo momento ho assolutamente bisogno di stare per un po' di tempo da solo- senza neanche voltarsi per guardarla, Jonathan percepì la delusione di Crystal, ma in quel momento meno avrebbe parlato, meno parole cariche d'odio Crystal si sarebbe subita.

-Vuoi un passaggio o preferisci che ti chiami un taxi?-

-Callie e Tristan mi danno un passaggio, ma grazie lo stesso- si asciugò una goccia di sudore che gli era scivolata lungo la guancia, non per fatica ma per la tempesta incontrollata di rabbia e confusione che si stava impadronendo di sé. Prese con gesto meccanico la borsa, mettendosela sulla spalla e si avvicinò a Crystal.

-Questo non vuol dire che non verrò più a trovarti, sei pur sempre mia sorella- vide un piccolo sorriso solcare l'ambrato viso di lei e si sporse per abbracciarla. Sentì il suo profumo di lavanda invadergli le narici e la presa di lei farsi più salda sulle sue spalle, come se non volesse che se ne andasse.

Dopo averla salutata, entrò in macchina di Tristan, Callie al posto di guida e l'amico al suo fianco.

Per circa una decina di minuti rimasero tutti e tre in silenzio, fino a quando il ragazzo non si voltò verso Jonathan e quasi con voce tremolante parlò.

-Perché non l'hai portata via con te? Insomma, dopo che tu e Crystal siete usciti non ci avete detto più niente- Jonathan cercò di mantenere la calma e con tutto l'autocontrollo che possedeva, si girò per guardarlo mentre lui aspettava impaziente una risposta.

-Sì infatti Jonathan, cosa è successo lì dentro?- intervenne Callie, beccandosi un'occhiataccia da parte di Tristan.

-Tu pensa a guidare- sentì l'amica borbottare offesa qualcosa, ma non capì cosa. Senza dar peso alle parole dell'amica, il biondo si rivolse di nuovo a Jonathan, aspettando la risposta.

-L'ho trovata mentre stava baciando il ragazzo che ci aveva rapito- di colpo la macchina si fermò e Jonathan andò a sbattere la testa contro il sedile di Callie. La ragazza si slacciò con un gesto veloce la cintura di sicurezza e spostò il suo sguardo nella direzione di Jonathan.

-Non ci credo. No, è impossibile, lei non l'avrebbe mai fatto. Voi due vi amate troppo perché uno dei due tradisca l'altro- cominciò scioccata Callie, Tristan era nel suo stesso identico stato. 

-Allora dovresti rivedere i tuoi modelli di amore visto che ti piace tanto parlarne ed esserne partecipe- sbottò lui. In quell'istante aveva tutti gli occhi puntati su di sé e mai come in quel momento avrebbe voluto toglierli di mezzo solo per non avere quegli sguardi interrogativi e sconnessi addosso.

-Sono sicura che Madison non l'abbia fatto apposta, ne avete passate così tante insieme. Io non mi arrenderei così facilmente se fossi in te-

-Eppure tu ti sei arresa Callie- quelle parole la colpirono in pieno petto, d'istinto la ragazza schiuse la bocca e rimase a fissarlo, finché non abbassò la testa ferita.

-Lo sappiamo tutti e due che ti sei arresa tempo fa e ancora non capisci la fortuna che hai. Almeno tu avresti la possibilità di starci insieme, ma ciò nonostante continui ad essere una codarda. Sul serio, mi fai pena- finì Jonathan, sputandole in faccia veleno che sapeva sarebbe arrivato al suo cuore.

-Scendi- fu Tristan a parlare. Era stato muto per tutto il tempo, ma appena Jonathan aveva terminato la conversazione con Callie, strinse i pugni finché le nocche non diventarono bianche e le ossa si delinearono nella pelle. Senza aggiungere altro, Jonathan prese la sua borsa e scese dalla macchina, sbattendosi dietro la portiera. La macchina ripartì accelerando, mentre il moro si spostava sul marciapiede desolato.

-Stupidi mortali, inutili e stupidi mortali- continuò a ripetersi fino ad arrivare alla foresta. Le era mancata tanto, ma non era cambiata. Le stesse querce che lo avevano reso invisibile ad occhi altrui erano ancora lì, a dominare sull'intera terra. L'aria fresca che respirava ogni mattina prima che incontrasse Madison percorreva e accarezzava ogni suo senso. Inspirò beandosi della brezza leggera che aveva la capacità di rasserenargli l'animo, cercando di scacciare l'immagine di Madison e si addentrò dentro quella che per lui era la sua casa.

Nel mentre passava accanto alle centinaia di alberi, passandoci sopra con la mano, come sovrappensiero, la mente era andata su un altro pianeta, un pianeta che lui stesso aveva chiamato Madison. Avrebbe voluto distruggerlo, farlo esplodere, purché il suo viso cessasse di tormentarlo. Nel mentre malediva il piccolo pianeta che gli aveva dato speranza per settimane, non si accorse nemmeno di essere arrivato davanti alla sua statua. La crepa percorreva ancora il suo petto di marmo, ed il ricordo di quel giorno invase la sua mente. Ricordò come Madison lo prese e, disperata, cercò di fare qualcosa per fermare la crepa che si allungava sul suo petto; ricordò come lei stesse piangendo e come la vide di sfuggita mimare con le labbra una preghiera nel mentre guidava verso la foresta.

Si odiò in quel momento, si odiò perché nonostante tutto, lei gli mancava. Gli mancava la Madison che lui aveva salvato da suo fratello, gli mancava la Madison che l'aveva liberato dalla cella nella centrale, ma soprattutto gli mancava la sua presenza vicino, le sue labbra, i suoi occhi verdi, i suoi modi timidi di atteggiarsi e... Dio, tutto gli mancava, perfino il calore che emanava il suo corpo quando stavano avvinghiati per baciarsi e perdersi nelle labbra dell'altro.

Scosse il capo e proseguì il suo cammino verso casa.

Eccola là, uguale a come l'aveva lasciata, se non per le tracce di gomme d'auto della polizia quando erano venuti a prenderli. Entrò dentro e non si sorprese nel vedere un po' di confusione, Rory e gli agenti l'avevano messa tutta sotto sopra per cercare indizi, ma per fortuna non c'erano molti mobili da rimettere in ordine. Lasciò cadere a terra il borsone e cominciò a capovolgere le poltrone e a rialzare la libreria da terra. Quando arrivò al tappeto del salotto tutto spiegazzato, un altro ricordo gli devastò la mente. Lui e Madison a terra, circondati da pezzi di pizza, mentre si baciavano come se non ci fosse un domani. Aveva amato quel momento e lo amava tutt'ora, ma quell'amore non bastava per eliminare il senso di tradimento e dolore che lo stava torturando incessantemente. E poi, un'altra immagine arrivò nella sua testa, ricordò le mani di Damian sui suoi fianchi e le sue labbra muoversi sulla bocca di lei con desiderio; afferrato da un impeto d'ira, prese il tappeto e lo strappò con uno strattone violento e deciso. Dopo essersi reso contro di quello che aveva fatto, si accasciò, cadendo in ginocchio sul pavimento di legno, mentre stringeva ancora i pezzi di stoffa tra le mani. Disperato, cacciò un urlo, gli parve rivoltargli l'anima ma senza contegno, continuò. Si strinse i capelli con forza, ma senza piangere, provava solo rabbia, odio e vergogna.

Qualche minuto dopo si rialzò e buttò senza rimorso i pezzi del tappeto nel cestino. Ritornò nella sua camera, dove ordinò tutti i suoi vestiti e libri ed andò a sedersi sul divano.

Nella stanza non volava una mosca, c'era soltanto lui. L'unica cosa che gli faceva compagnia era il silenzio, spostava lo sguardo da un muro ad un altro, provando tristezza e abbandono per se stesso, così, in quel momento decise che avrebbe ricominciato tutto d'accapo, dopotutto, lui le aveva detto che prima o poi lei avrebbe trovato qualcuno che l'amasse e che lui sarebbe ritornato ad isolarsi come aveva sempre fatto e come avrebbe continuato a fare da quel giorno.

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