Capitolo 70

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Scese le scale pestando con rabbia ogni gradino di legno.

Era arrabbiato, anche se sapeva di non averne il diritto.

Sapeva che non avrebbe dovuto reagire così, ma la sua disperazione e impazienza lo stavano divorando.

La voleva. Voleva avere una vita con lei. Una vita felice. Per entrambi. Lui era l'unico che potesse dargliene una, anche se lei pensava il contrario.

Prima di aprire la porta d'entrata ed uscire, la figura di Callie gli si parò davanti.

-Da questa casa tu non te ne vai, che sia chiaro. Per quanto io voglia che lo facessi, io te lo proibisco- gli puntò un dito contro -Anche se sei quello che l'ha distrutta, adesso, sei anche quello che può sostenerla. Ricomporla. Perciò, non fare cazzate o giuro che non vedrai più la luce del Sole- detto questo si allontanò, guardandolo truce e piena di avvertimenti silenziosi.

Almeno Madison aveva una vera amica su cui contare.

Di certo non se ne sarebbe andato, ma doveva assolutamente fumare o tutta la rabbia e il nervoso accumulato in quei giorni sarebbe esploso in una volta. E non sarebbe stato piacevole.

Uscì velocemente dall'ingresso e, appena fuori in giardino, si precipitò dalla sua moto parcheggiata sul viale.

Tirò fuori da una tasca segreta che aveva costruito lui stesso, un pacchetto di sigarette e ne prese una con foga. Ne aveva assolutamente bisogno.

Se ne portò una alla bocca e, quando l'accese, si rilassò contro la sua amata moto, lasciando sfuggire degli sbuffi di fumo.

Si guardò attorno.

Era una via tranquilla, la strada vuota, la calma che sovrastava in quel posto non faceva altro che placare la sua ansia.

Se, come aveva predetto Callie, la statua di Crystal fosse esplosa, sarebbe finito tutto.

Niente più droga. Niente più rapimenti. Niente più metodi per proteggersi dalla luce e dalle persone.

Sarebbe stato libero.

Sì. Libero. Per lui era una parolona.

Anni fa, la polizia, aveva preso la sua serie di omicidi come un caso molto pericoloso ed importante, finché non erano finiti per dimenticarsi del killer seriale dai capelli rossi e accantonare il suo fascicolo; ma dentro di sé sentiva che quella storia non fosse finita del tutto.

Un pensiero ne portava a braccetto con sé un altro, facendogli scorrere nella mente una serie di ricordi che pensava fossero stati dimenticati con il tempo.

-Paul, dobbiamo mandarcelo. Hai visto in che stato è? E' malato. Paul, nostro figlio è pazzo- il bambino sentì la voce della madre da dietro la porta della camera dei genitori. Non era riuscito ad addormentarsi e così, aveva deciso di andare dalla madre per farsi aiutare. Solo che, mentre era sul punto di entrare, sentì i suoi genitori parlare fra di loro riguardo lui.

-Ha dieci anni, Amanda. Non è troppo per lui? Credi che possa sopportarlo?- la madre di sedette sfinita sul bordo del letto, nel mentre il marito appoggiava i palmi della mani sul comodino affianco. Agli occhi del bambino, entrambi sembravano così stanchi e pieni d'angoscia, ma lui continuava a non capire di che cosa stessero parlando in modo così preoccupato. Lui non li aveva mai sentiti parlare così.

-Non lo so. Non so che fare- la donna guardò il marito -Mi fa così paura Paul- cominciò a piangere in silenzio, senta distogliere lo sguardo dal marito, il quale si avvicinò a lei per abbracciarla.

A questo punto, il bambino decise di entrare nella stanza dei genitori, ritrovandoseli davanti stupiti e in lacrime.

-Dov'è che devo andare?- la madre si asciugò velocemente le guance ricoperte dalle lacrime e si avvicino al figlio, appoggiando le mani sopra le sue piccole ed esili spalle.

L'eternità di chi amaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora