Che idiota che era stato.
Non voleva avere contatti con nessun essere umano eppure aveva accettato di vivere insieme ad una ragazza. Quanto stupido poteva essere stato?
Ma quello che lo tormentava di più in quei giorni era il perché lei lo avesse salvato quando stava per riuscire ad essere investito dall'autobus...
Non aveva visto che stava fermo di sua spontanea volontà in mezzo alla strada?
Perché non capiva che lui voleva uccidersi?
Rise amaramente togliendosi le cuffie dalle orecchie pensando che, nonostante tutti gli sforzi che facesse ogni giorno, lui non riusciva a morire. Nel corso degli anni aveva tentato in molti modi di suicidarsi, per citarne i più recenti il 1878, quando si buttò sotto una carrozza trainata da cavalli che riuscì a deviare prima che le ruote gli frantumassero il cervello, il 1916 dove andò a sparare all'impazzata nel buco nemico tedesco, ma nessun militare riuscì a colpirlo ed un suo compagno lo trascinò di nuovo nella sua trincea, il 1944 in cui diede un pugno ad un soldato nazista per farsi fucilare, ma quando si preparò per colpirlo la guardia si accorse che il fucile era scarico e che non aveva con sé delle munizioni, così si limitò soltanto a picchiarlo a sangue. Poi ci fu quel giorno in cui provò a farsi investire dall'autobus ma non ci riuscì perché lei l'aveva trascinato via, ed infine quel pomeriggio in cui cercò di trafiggere il suo cuore con una lama di un coltello che, ovviamente, volò via tutte le volte che ci provò.
La sua natura voleva che non morisse, era destinato a vivere contro la sua volontà. Così si era rifugiato in quella casa abbandonata che aveva trovato nel 1983, dopo che si era buttato da un aereo senza paracadute. Non era morto, ma le ferite ci misero qualche mese per sparire.
Sospirò mentre chiudeva il libro, ci infilò dentro il segnalibro e lo appoggiò sul comodino di fianco a lui. Aveva commesso un grosso errore aiutandola a fuggire da suo fratello, avrebbe dovuto lasciare che lui la prendesse così le cose sarebbero finite lì. Ma no, il suo istinto prevalse sulla ragione e lo spinse a salvarla, la prima volta spaventando suo fratello sulla statua e la seconda quando si nascosero sotto le radici dell'albero. Quella mattina era andato a controllare se la sua statua avesse cambiato posizione ed aveva visto che lo raffigurava a braccia aperte nell'attesa di qualcosa che gli andava incontro e così l'aveva vista nascondersi dietro la statua, terrorizzata dal ragazzo che la inseguiva gridando il suo nome. Fece la prima cosa che gli venne in mente. Si arrampicò fino in cima alla statua e si tagliò apposta con un angolo appuntito del marmo, facendo colare il sangue del polso dalla testa fino a metà petto della statua, per cercare di spaventarlo ed infatti, funzionò. Prima che lei aprisse gli occhi per osservare la statua si era tolto la maglietta per ripulire il sangue, poi era sceso lentamente per non farsi sentire e se n'era andato. Stessa cosa successe qualche giorno più avanti in cui la rivide correre zoppicando tra gli alberi, sapeva che non doveva più salvarla ma non resistette alla tentazione, così l'aiutò a nascondersi da suo fratello e le fasciò la ferita.
Si alzò dal letto quasi trascinandosi, si chiese che cosa stesse facendo. Si aspettava che dopo aver esplorato la casa, sarebbe andata a cercare subito una camera da letto e così si era diretto verso l'altra stanza, di fianco alla sua. Quando aprì la porta, la vide distesa sul letto addormentata, gli venne da ridere quando la sentì russare pesantemente aprendo e chiudendo la bocca da cui usciva un rivolo di saliva.
Non sapeva cosa gli stesse accadendo. Spalancò gli occhi e si diede uno schiaffo come se potesse cambiare i pensieri nella sua testa. Si pentì subito dopo perché il rumore secco della sberla la svegliò. Jonathan rimase immobile dov'era, osservandola stropicciarsi gli occhi mentre si alzava, mettendosi seduta a gambe incrociate.
-Mi... mi stavi spiando?- disse con la voce ancora impastata dal sonno, mentre si stiracchiava stendendo le braccia verso l'alto e inarcando in avanti la schiena.
-Ero venuto a controllare se eri morta... sai dopo, sarebbe stato difficile nascondere il corpo- stava ancora parlando con lei? Perché non riusciva a stare zitto?!
-Si, forse hai ragione. Troppo impegnativo...- scese dal letto per controllare l'ora dal suo cellulare e lanciò un grido quando si accorse che erano le otto di sera.
-HO DORMITO PER SETTE ORE???- Jonathan stava per ridere per il modo in cui la sua faccia osservava sbalordita lo schermo del cellulare e per i suoi capelli spettinati che le donavano un'aria da pazza e adorabile allo stesso tempo.
Doveva smettere di pensare a lei. Non doveva neanche parlarci. Voleva dirle di stare zitta una volta per tutte, di non parlare più con lui, ma ormai aveva imparato che era impossibile che restasse in silenzio.
La guardò un'ultima volta e se ne andò, lasciandola lì. Mentre si dirigeva in corridoio si sentì prendere per la spalla, facendolo girare verso di lei.
-Non ti ho ancora ringraziato per avermi ospitato... perciò... insomma... ecco... grazie...- abbassò la testa mentre si torceva le mani imbarazzata.
Avrebbe tanto voluto alzarle il mento per vedere il rossore espandersi sulle sue guance, ma sapeva che non doveva farlo. Così si limitò ad un semplice e chiaro...
-Anche se tecnicamente mi hai costretto con un ricatto...- le sue risposte erano troppo lunghe, doveva limitarsi a delle risposte più monotone come si, no, ok, d'accordo, non sono d'accordo e quando la domanda si faceva più complicata, andarsene il prima possibile. Pareva da stronzi, lo sapeva, ma era l'unico modo. A meno che non la imbavagliasse e la tenesse legata ad una sedia in salotto. Si trattenne dal ridere a quella scena formatasi nella sua mente e si voltò per andare a rinchiudersi di nuovo in camera. Prima che si avvicinasse alla porta la sentì mormorare un "maleducato" che lo fece sorridere mentre entrava, richiudendosi la porta alle spalle.
Non capiva il motivo per cui quella ragazza stesse cominciando a stargli simpatica se non addirittura, a piacergli. A quel pensiero rabbrividì e si tappò immediatamente le orecchie con gli auricolari, con la musica al massimo. Era l'unico modo per riuscire a non pensare, la musica che gli perforava i timpani, i colpi di batteria che si ripercuotevano nella testa e gli accordi di chitarra che gli impedivano di formulare un pensiero sensato. Anche se spingeva ripetutamente il tasto per alzare il volume, quando questo era già al massimo, riusciva lo stesso a vedere i suoi occhi che lo fissavano e lo giudicavano senza conoscerlo. Forse era meglio così... più lo riteneva senza emozioni, più lei si sarebbe allontanata lasciandolo in pace e nessuno avrebbe sofferto, lui prima di tutti.
L'immortalità non era una benedizione... era invece una morte lenta e dolorosa, riservata soltanto a chi poteva sopportarla. E lui non era fra quelli pensò, mentre lacrime cominciavano a rigargli il volto.
******
Tralasciando che sono le 23:31, ma fa lo stesso, perché il mio Jonathan doveva parlare in un capitolo XD.
Che ne pensate del capitolo?
Scrivetelo nei commenti e lasciate un mi piace se volete che continuo la storia, grazie mille!
Baci a tutti *-*
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L'eternità di chi ama
FantasyDa un catastrofico incontro in un'oscura foresta, Madison Vallen e Jonathan Irven si ritrovano immischiati in rapimenti, agenti della polizia alle calcagna, una strana polvere azzurra, baci rubati e parole mai dette, segreti e bugie. In tutto questo...