Capitolo 6 - Rapita

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La cena di famiglia era stata un vero disastro. Continuavo ad avere ripetuti incubi riguardo a ciò che era successo e mia madre non faceva che ripetermi quanto le piacesse il mio ragazzo.

Una cosa positiva però c'era: almeno piaceva a qualcuno.

Stavo percorrendo sovrappensiero il vialetto adiacente all'università, quando nella mente mi riapparì più nitida che mai la scena della mano di Tyson sulla mia gamba. E la cosa irrazionale era che quel gesto non mi aveva lasciata sconvolta perchè non mi era piaciuto, ma bensì per il contrario. Scossi violentemente la testa per scacciare quel fastidioso ricordo; non era proprio il momento di pensare a quell'episodio. Non capivo nemmeno perchè mi fosse venuto in mente.

Ma l'immagine rimase ancora lì, ben delineata e nitida come una foto.
«Maledetto!» urlai frustrata stringendo i pugni e battendo i piedi a terra con forza.

Un gruppetto di ragazzi che mi passarono accanto mi lanciarono delle occhiate incuriosite.
Mi ricomposi e coprendomi la testa col cappuccio della felpa accelerai il passo.

«Hey, Jordan.» sentii una voce terribilmente famigliare richiamarmi da dietro.
Non mi voltai neanche, tanto sapevo già chi era.

«Sparisci.» mi limitai a rispondere, andando dritta per la mia strada.

«Perchè? Che cos'ho fatto?» continuò a chiedermi la voce, facendosi via via più vicina.

Mi voltai di scatto, guardando torvo Tyson mentre continuava ad avvicinarsi.
«Che cosa hai fatto?! Che cosa hai fatto?!» strillai al limite del controllo. Di certo cose come quelle erano la normalità per Tyson, ma ciò non voleva dire che poteva farle con me. Non ero di certo una delle solite oche che gli cadevano subito ai piedi.

Mi voltai di nuovo ed accelerai di più il passo, tanto che iniziavo a sentire già il fiato farsi più corto ed il corpo surriscaldarsi dallo sforzo.
In più, il cappuccio in testa mi stava facendo venire un gran caldo.

Sentii una mano calda afferrami il braccio, fermandomi con prepotenza sul posto.

«Mi vuoi dire che diavolo ti è preso?» tuonò con voce più alta del solito quello svergognato, mandandomi di conseguenza ancora più in bestia.

«Non toccarmi, pervertito.» ruggì schioccando un'occhiataccia alla sua mano sul mio braccio.

Lo vidi assottigliare gli occhi, come alla ricerca di qualche ricordo remoto.
«Fammi indovinare. È per la serata di ieri, vero?» azzardò infine, alzando un sopracciglio. «Andiamo Jordan, ci siamo solo divertiti un po'.» cercò di sdrammatizzare, ma le sue parole ebbero l'effetto opposto.

Risi amaramente.
La gente che ci passava accanto continuava a lanciarci occhiate.

«Non ho voglia di discutere con te. Sparisci e basta. Ho una lezione tra meno di 10 minuti.» proferii alla fine, liberandomi dalla sua presa.

Ma non appena lo sorpassai di poco lui subitò mi raggiunse, mettendomisi affianco.
«Che lezioni hai oggi?»

Non capii la sua domanda, ma non avevo più veramente voglia di discutere con lui, per cui decisi di rispondergli e basta. Almeno così se ne sarebbe andato. O almeno speravo.

«Microbiologia e chimica.» mi affrettai a rispondere senza neanche guardarlo.

«Allora non ti perdi granchè.» commentò con tono pacato.

Aggrottai subito le sopracciglia, guardandolo finalmente in viso.
«Non ti seguo. Cosa vuoi dire?»

Sorrise ambiguamente, fissando per qualche secondo le mie labbra.
«Voglio rapirti per tutta la mattina.»

My personal trainer [#Wattys2018]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora