Capitolo 3 - Il ricatto

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«Cosa c'è, Jordan?»
La sua voce era flebile, sembrava quasi un sussurro, mentre le sue mani continuarono a fare su e giù sulla mia vita.

«Il gatto ti ha morso la lingua? Non è da te non ribattere ad ogni mia parola.» continuò imperterrito nella sua tortura. Le sue mani sul mio corpo mi infastidirono. Non mi lasciavo toccare da nessuno, figuratevi da uno perfetto sconosciuto. Ma nonostante l'irritazione, il mio corpo si era come irrigidito e gli arti non rispondevano più a nessun impulso.

«Ti rendo nervosa, Jordan? Non è che sotto sotto ti piaccio?»

Sentii una delle sue mani spostarsi alla ricerca di intrufolarsi sotto la mia maglietta.

A quel punto persi le staffe. Quello era troppo. Prima che riuscisse ad andare oltre, riacquisii il controllo del mio corpo e mirando alle sue parti basse, gli tirai una gomitata veloce.

Un gemito di dolore sfuggì dalle sue labbra. Mi divincolai velocemente e mi girai verso di lui, avendolo finalmente di fronte. Aveva dipinta ancora sulla faccia un'espressione di puro dolore e l'area attorno all'occhio che gli avevo colpito prima si stava annerendo. Lo afferrai con decisione per il colletto e lo avvicinai al mio viso.

«Toccami un'altra volta senza il mio permesso e ti sterilizzo.» tuonai con rabbia, assottigliando ancor di più gli occhi.

La sorpresa sul suo viso fu una scena impagabile. In qualche modo mi fece un po' calmare. Aveva capito il concetto. O almeno credevo.

«Ehi, ehi, tesorino calmiamoci un po'. Qui nessuno sterilizza nessuno.» sentii la porta sbattere leggermente contro il muro e il viso dell'infermiera Martha spuntare da dietro la figura di Tyson e avvicinarsi a noi.

«A parte me. Ma non credo sia necessario, no?» chiese rivolta a Tyson.
Il suo sorriso si allargò quando gli occhi di Tyson si sgranarono e si abbassarono di scatto.

«Non è necessario.» ribattè seccamente volgendomi le spalle e andandosene.

«Ehi! Dove vai con quell'occhio nero?!» gli urlai dietro allarmata prima che valicasse la porta ma mi ignorò completamente.

Sbuffai incredula. Ma che razza di comportamento era?!

Presi le mani di Martha tra le mie e le sorrisi riconoscente. «Non so come ringraziarla di essere intervenuta. Quel ragazzo è veramente snervante.»

«Non c'è di che, tesoro. Ma cosa è successo?»

Lanciai qualche occhiata verso la porta prima di concentrarmi sul viso della donna davanti a me che mi guardava chiaramente preoccupata.

«Ti racconterei tutto adesso ma devo per forza inseguirlo. Ti faccio sapere un'altra volta. Ora scappo.» Le stampai un bacio veloce sulla guancia e inseguii quel deficiente di Tyson.

Lo rincorsi per tutto il corridoio fino a raggiungerlo, visto che con le lunghe gambe che si ritrovava aveva già percorso un bel pezzo di strada e io essendo bassina non ci sarei riucita in altrettanto tempo.

«Perchè diavolo te ne sei andato? Dovevi medicarti accidenti!» iniziai ad urlare non appena gli fui accanto.

«Sto bene. Ho subito cose peggiori di questa, fidati.» rispose secco senza degnarmi di uno sguardo e continuando ad avanzare.

Capii subito che si riferiva agli infortuni durante gli allenamenti e le partite.

«Non mi interessa.» scattai di colpo. «Devi comunque metterci del ghiaccio.» insistei.

Non era facile riuscire a far cambiare idea a Tyson. Era un tipo piuttosto testardo. Eppure, non volevo dargliela vinta, per cui continuai ad insistere.

Visto che non rispondeva più, optai per dargli una scossa ma il suo braccio fu più veloce del mio e afferrò quest'ultimo strattonandolo insieme al mio corpo verso di sè. Il suo viso si abbassò a livello del mio, tanto che riuscivo a distinguere nelle sue iridi nocciola qualche pagliuzza color verde.

«Sta attenta, Jordan. Solo perchè ti ho lasciata colpirmi due volte non vuol dire che ti puoi prendere tutte queste libertà.» mi avvertì improvvisamente scuro in volto.

La sua espressione mi spaventò a tal punto da farmi venire la pelle d'oca. Tyson Parker era un tipo quasi sempre sorridente, per cui non lo avevo mai visto così serio prima di allora.

Decisi che forse non era prudente fare giochetti e alimentare ancor di più il fuoco di rabbia che illuminava i suoi occhi.

«Ti chiedo scusa per quello che ho fatto.» sussurrai improvvisamente senza voce, tentando di assumere un'espressione dispiaciuta.

Il suo viso rimase impassibile.
«Non le senti veramente le parole che stai dicendo, non sono mica un coglione. E comunque...» abbassò per qualche decina di secondi lo sguardo sulle mie labbra per poi posarle di nuovo sui miei occhi. «Non credo che le tue scuse mi bastino, per quanto sentite possano essere.»

Iniziai a sentire il corpo troppo pesante, come se la forza di gravità su di esso si fosse in qualche modo quadruplicata in una manciata di secondi. Tra lì a poco sarei caduta per terra. Come se mi avesse letto nel pensiero, Tyson posò l'altro braccio attorno alla mia vita, tenendomi ancora più stretta al suo petto.

Quella posizione era abbastanza scomoda e imbarazzante, visto che ero pratimente spalmata sul suo corpo in tal modo che riuscivo a sentire ogni centimetro dei suoi muscoli scolpiti sotto i vestiti.

Tyson aveva iniziato a fare Lacrosse fin da piccolo, e arrivato all'università aveva deciso di continuare a praticarla. La sua scelta giovò molto alla squadra dei Redshirs, che grazie a lui avevano raccolto vittorie su vittorie, ma soprattutto contribuì alla scolpitura dei suoi perfetti muscoli.

Il coach a quanto pare lo amava e si diceva addirittura in giro che gli si fosse stato offerto un contratto per entrare a giocare in una delle squadre più famose del paese.

In poche parole, Tyson Parker era un mito. Ma non caratterialmente. Avevo sempre pensato che dentro fosse un tipo marcio, senza sentimenti e con il tempo ne avevo avuta la conferma. Quando entravi nel suo mirino la tua vita diventava un inferno. Ecco perchè non volevo più farlo arrabbiare per il momento. Pensavo che forse la cosa lo avrebbe fatto poi distrarre per un po' da me.

«Devi offrirmi qualcosa.» sentenziò, facendomi riemergere dai miei pensieri. Guardò un'altra volta sfacciatamente le mie labbra, mordendosi contemporaneamente le sue. Sentivo da fuori le rotelle ossidate del suo cervello muoversi alla ricerca di qualche idea perversa.
«Che ne dici del tuo corpo?» propose dopo un po', lasciandomi sconvolta dalla spudoratezza del suo tono.

Assotigliai gli occhi e lo guardai torvo, tentando senza risultato di liberarmi dalla sua presa. Ma era quasi impossibile, mi teneva stretta come in una morsa.

«Non ci penso proprio, pervertito che non sei altro. Piuttosto preferisco farmi 100 giri del campo da football di corsa, nonostante io odi a morte la corsa.» obbiettai disgustata.

Vidi saettare nei suoi occhi una scintilla che non voleva dire nulla di buono. Le sue labbra si distesero in un sorrisetto obliquo, così come il viso.

«Sai che mi hai dato un'idea migliore?» soffio vicino al mio viso inarcando un sopracciglio.
«Verrai ad allenarti con me ogni volta, a partire da domani. Ma non saranno allenamenti normali. Ti pentirai di quello che hai detto, Pasticcino.»

Detto ciò, allontanò le mani dal mio corpo, iniziando ad incamminarsi verso la nostra aula.
Come diavolo mi ero cacciata in quella situazione?

Senza curarmi minimamente di chi mi potesse sentire, raccolsi tutta la voce che avevo in corpo.
«Non lo farò! Non verrò mai, scordatelo!» gli urlai dietro.

Ma lui non si girò nemmeno. Vidi le sue spalle abbassarsi ed alzarsi a causa delle risate che si stava facendo.

«Scordatelo, brutto bastardo!» insistei, ma di lui non c'era più l'ombra.

My personal trainer [#Wattys2018]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora