Capitolo 26 - Richard

4.2K 133 41
                                    

Richard Morrison era sempre stato un uomo affascinante. Fisico scultoreo, pelle color olivastra, occhi azzurri magnetici. Erano i suoi punti di forza. Non aveva peli sulla lingua ed ogni volta che parlava, i suoi interlocutori lo guardavano con espressione adorante. Forse la stessa che egli stesso rivolgeva al denaro.

Nella sua vita infatti, poche erano le cose che giudicava importanti: il suo aspetto, il suo rango sociale e i soldi. Sì, proprio quelli. Se non fosse stato un uomo tanto avido, forse non lo avrei odiato così tanto. O meglio, forse non se ne sarebbe andato. Era inutile ormai discutere sulle ragioni per cui Richard aveva scelto di lasciarci e di scappare in Messico. Era così e basta. Ormai lo avevo accettato.

Ma in quei cinque anni vissuti senza di lui, mai avrei immaginato che un giorno me lo sarei nuovamente ritrovato davanti. Da quando aveva lasciato nostra madre perchè si era stancato di lei, avevamo perso le sue traccie. Con la sua laurea in scienze motorie non poteva fare altro che l'insegnante, ma di certo non avrei mai pensato che, tra tutti i campus presenti nelgi USA, esercitasse il suo ruolo proprio nel nostro. Ce lo vedevo di più a spillar soldi da donne ricche e fare il mantenuto.

Aveva fatto così per anni con mia madre, fino a farla prosciugare. Di certo però di quello non gli importava. Ma quando era stato il suo conto in banca ad essersi prosciugato, l'aveva lasciata da sola, senza un centesimo e con due figli da mantenere.

Richard Morrison non era di certo il più responsabile dei padri. Il solo ricordo del suo nome ogni volta scatenava in me l'istinto irrefrenabile di prenderlo a calci. Odiavo quell'uomo a tal punto da chiedermi ogni notte cosa ci avesse trovato una donna come mia madre in lui. Non potendoglielo chiedere, cercavo di rispondermi da sola. Ma nessuna di quelle possibili risposte riusciva a convincermi del fatto che Richard, tempo prima, potesse essere diverso.

Quando mia madre lo aveva conosciuto, era una tra le più belle e graziose ragazze del comitato studentesco del suo campus. Il suo viso dolce ed il suo sorriso gentile non sfuggivano di certo inosservati alla popolazione maschile della sua facoltà. E tra questi, neanche a Richard.
Era stato amore a prima vista il loro, ma era finito senza che lui la degnasse di neanche un'ultima occhiata. Era scappato nel bel mezzo della notte, una calda sera di settembre. Non aveva lasciato niente, se non la cassaforte aperta e tre cuori infranti. Da quel giorno, non avevamo avuto più sue notizie. Neanche i suoi genitori sapevano dove fosse esattamente, solo che era diretto verso il Messico.

Mi ero chiesta per anni cosa avrei fatto se un giorno lo avessi incontrato, ma ora che ce lo avevo davanti non avevo ancora una risposta. D'istinto mi avvicinai a Tyson, avvolgendogli il braccio con il mio, mentre nell'altra mano tenevo la maglietta che mi aveva dato. Non riuscii a capire se si era reso conto del mio cambiamento di umore, ero troppo occupata a guardare Richard il quale, a sua volta, non mi staccava i suoi occhi azzurri di dosso.

Non era cambiato di una virgola, era rimasto ancora il bell'uomo di sempre. Aveva un cappello in testa, ma riuscii comunque ad intravedergli i capelli scuri, sicuramente tinti, e leggermente mossi che gli incorniciavano il viso spigoloso. Il fisico palestrato era nascosto da un uniforme grigiastra sformata, ma si vedeva che era ancora in forma. Mi concentrai sulla sua espressione. Sul suo volto leggevo sopresa, mista a qualcos'altro.

Forse paura?

Dentro di me esultai a quella possibile opzione. Mi guardò ancora per qualche istante, incapace di togliermi gli occhi di dosso, finchè all'improvviso il suo volto ritornò inespressivo. Ciò non mi meravigliò minimamente. Era sempre stato bravo a nascondere quel che provava, se non per quella piccola frazione di tempo in cui i nostri occhi si erano incontrati.

«Cosa ci fai qui, coach?» La voce di Tyson fu la prima a rompere il silenzio che ormai si era creato intorno a noi. Non potevo crederci che era il suo coach. Quasi non trasalii quando mi resi conto che non mi ero sbagliata a riconoscere la sua voce anche quando Tyson mi aveva portata negli spogliatoi per medicarmi il braccio. Una domanda però mi sorse improvvisamente spontanea. Da quand'è che faceva il coach lì? Non mi era mai capitato di incontrare il famoso coach dei Redshirs, visto che la squadra si allenava in un campo privato distante dal campus. Ma non pensavo di certo potesse essere lui.

My personal trainer [#Wattys2018]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora