Capitolo 27 - Dance for you

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Un'enorme folla occupava il piccolo spazio della chiesa. Una chiesa bianca e spoglia, forse fin troppo per una ragazza dolce e solare com'era stata Rose. Una lacrima mi rigò la guancia al pensiero di quella piccola bambina di sei anni che, anche se sconosciuta, ormai non c'era più. Aveva lottato fino all'ultimo, aveva detto Trevor. Nonostante il dolore continuasse a lacerarla dentro, non si era mai lamentata. La sua anima si era spenta in un mattino di novembre, quando il suo esile corpicino, martoriato da anni di lotte, si era accasciato esanime nelle braccia della madre. Se n'era andata quando faceva troppo freddo Rose, senza un sussurro; forse guardava il cielo e non si era nemmeno accorta di volarci dentro. Era stata una guerriera, ma non era bastato. Alla fine, quel qualcuno lassù era riuscito a convincerla a raggiungere le sue braccia, strappandola a quelle della sua famiglia.
Quella famiglia che proprio in quel momento continuava a piangere sommessamente, mentre le parole del prete riempivano l'aria.

Quando il discorso fu finito, la gente pian piano iniziò ad alzarsi, puntando all'uscita.
Asciugai le lacrime col palmo della mano, cercando di mandar giù i singhiozzi e avanzando per raggiungere gli altri all'uscita. Ma mi sentivo come se mi fosse stato asportato un arto e camminavo storta sotto il peso di un cuore battente. La mano di Tyson cercò la mia e quando la trovò la afferrò con cautela, incastrando poi le sue dita alle mie. Alzai lo sguardo e lo vidi sorridere. Quel gesto, nel suo piccolo, era bastato a darmi il coraggio di proseguire. Non ero mai stata ad un funerale, e non riuscivo a credere che una folla così grande potesse occupare una chiesa così piccola. Di certo Rose era stata una bambina molto amata.
Forse non sapeva nemmeno di avere tutti quei parenti, visti quanti erano.

Quando fummo usciti tutti, sentii finalmente i miei polmoni riempirsi di vera aria. Traballavo ancora, ma Tyson era di fianco a me a darmi il sostegno di cui avevo bisogno. Ma di certo in quel momento non ero io quella che ne aveva più bisogno, ma Trevor. Lo cercai tra la folla. Finché lo vidi.

Era in un angolo, in disparte, a fumare una sigaretta dietro l’altra, soffocando i suoi polmoni di fumo nero. Nero come il cielo sopra di noi. Le nuvole che ci galleggiavano e si sfaldavano disperdendosi nell'aria, non fecero altro che ricordarmi come eravamo passeggeri.

L’aria di sigaretta condensata intorno alla faccia di Trevor era nera pece come i suoi vestiti e pallida dal dolore e dalle domande che continuavano ad opprimergli il cuore e la mente.

Mi avvicinai a lui con passo esitante, attirando anche Tyson nella stessa direzione. Appena ci vide sorrise debolmente. Ma non era un vero sorriso, in esso non c'era più nessuna emozione. Da quando Rose era morta, con sorpresa nostra e dei suoi famigliari, aveva pianto solo una volta. Nei giorni seguenti, si era rinchiuso come in un guscio. Il suo volto apatico nascondeva i suoi pensieri, ma il suo sguardo perso costantemente nel vuoto non era altro che un grido di dolore sotto mentite spoglie.

«Trevor...» Le parole mi morirono in bocca nell'esatto istante in cui il suo sguardo incontrò il mio. In quel momento qualsiasi cosa avessi detto sarebbe stata inutile, di certo non potevo colmare il suo vuoto. E questo lo sapevo fin troppo bene.

Quando qualcuno se ne va, il primo grande dolore sono le parole mai dette. Quelle insistenti parole che rimangono incastrate fino a farti male e che in silenzio supplicavano un altro po' di tempo per uscire.
E Trevor non stava facendo altro che sprofondare sotto il loro peso, troppo debole ed indifeso per alzarsi da solo.

Avanzai di qualche passo e feci l'unica cosa che mi sembrava giusta in quel momento: lo abbracciai. Gli allaccia le braccia al collo e lo strinsi forte a me, chiudendo gli occhi. «Se vuoi, piangi pure. Io sono qui. Noi siamo qui.»

Pensai che quelle parole potessero smuoverlo. Che la nostra presenza potesse risvegliarlo da quello stato apatico. Ma non fu così. Rimase immobile come un bambolotto fino a quando non mi spinse via da sé, come scosso da qualcosa.

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