Prologo.

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Poche persone sanno esattamente cosa vogliono dalla vita, ed io sicuramente non ero una di quelle.

Non sapevo come volevo che fosse il mio futuro e non avevo idea da dove cominciare per crearlo, nonostante la gente avesse un'impressione di me totalmente diversa.

Si lasciava ingannare dal mio faccino e dalla mia finta gentilezza, senza mai voler andare fino in fondo.

Ma, alla fine, chi vuole davvero conoscere una persona?

Tutte quelle domande di finta cortesia, del tipo "come stai?", che poi di sapere se va tutto bene non fregava a nessuno.
Seguite dalle solite risposte "bene, e tu?", che poi a te di conoscere realmente la risposta te ne importava meno di niente.

Ed ecco come mi consideravo: sola.

La solitudine è un tasto molto delicato anche soltanto da sfiorare, ma era questa la realtà: siamo tutti un po' soli.

La gente che si circondava di false amicizie o che si lasciava condizionare solo per piacere agli altri, la gente con manie di protagonismo che tentava di screditare gli altri per innalzare sé stessi. Ecco, odiavo quel tipo di persone, che negavano l'evidenza e si circondavano di falsità pur di non rimanere soli per un secondo, per paura.

Dunque, giusto per la cronaca, odiavo la maggior parte dell'umanità.

A me, invece, non era mai importato nulla del giudizio delle persone.
La mia filosofia di vita era: "Ecco quella che sono, sono così. O mi ami o mi odi, non esiste via di mezzo."

Non andava bene a tutti, ma non avevo paura di esprimere la mia opnione riguardo a qualcosa o di sputare in faccia alla gente ciò che pensavo in verità.
E le poche persone che mi conoscevano bene, lo sapevano.

Per chi si fermava alla semplice apparenza - per il resto del mondo - io ero Allison Walker, una semplice classica ragazza con la testa sulle spalle.

Insomma, tutto il contrario di ciòo che in realtà dentro ero.

I miei migliori amici mi chiamavano tempesta; per mia madre, invece, ero una piccola peste.

Stando ai suoi racconti, fin da piccola mi ero sempre distinta dalla maggior parte delle altre bambine. Non mi piacevano le barbie o i cartoni animati delle principesse Disney, no.
Io preferivo guardare dragonball in tv e giocare con le mini collezioni di moto.

Moto che, raggiunta la maggiore età, mamma mi regalò. Una Yamaha R6 nera, il mio piccolo grande amore.

Ero legatissima a quel, come lo chiamava mamma, pericolo mortale. Sapevo che apparteneva a mio padre e quella era l'unica cosa che mi rimaneva di lui, a parte una vecchia foto che custodivo gelosamente sul comodino della mia camera.

Non ricordavo niente di lui, non portavo dentro me nessun ricordo, dato che ci aveva lasciato ancora prima che venissi al mondo.
Solo frammenti di racconti narrati da mia madre e varie persone che avevano avuto il privilegio di conoscerlo.

Sapevo che era un uomo fantastico e che mi amava tantissimo, nonostante non fosse più qui sulla terra, al nostro fianco.
Ero convinta che lui mi guardasse da lassù e che fosse la stella più luminosa dell'intero cielo.

A volte mi assaliva un senso di malinconia, perché avrei tanto voluto conoscere mio padre, ma la vita per me non aveva progettato questo e andava bene comunque.

A me andava sempre bene tutto, ero un'ottimista e il sorriso non scompariva mai dal mio viso.
Anche se, come tutti, anche a me poteva capitare di avere momenti no.
E quel giorno, era appunto uno di quelli.

Mi ero svegliata con il piede sbagliato, grazie alle urla di mia madre che mi intimava di sbrigarmi perché saremmo dovuti partire quella mattina.

Ebbene sì, era il mio primo giorno di college: ero stata accettata alla UCF, University of Central Florida, ad Orlando.
Distava da Miami, quella che era sempre stata casa mia, 379.8 km. Tre ore e diciannove minuti in auto.
Non era un'università molto lontana, ma sentivo il bisogno di cambiare aria.

I miei due migliori amici, Sharon e Trevor, sarebbero venuti con me e questo mi trasmetteva buon umore, nonostante non avessi timore di ritrovarmi da sola in un luogo in cui non conoscevo nessuno.

Inoltre, c'era lì ad aspettarmi Will Blade, il mio ragazzo, che non vedevo l'ora di rivedere dato che era partito con i suoi amici a Parigi per l'estate.
Lui era già al secondo anno e, nonostante la distanza fosse dura da reggere e fastidiosa, stavamo insieme da ben tre anni.

Nonostante ciò, però, non ero mai riuscita a dirgli le due paroline magiche.

Per me l'amore era sempre stato un tabù, qualcosa di troppo complicato ed importante e mi metteva una paura tremenda.

Vedevo ragazzi della mia età dirsi "ti amo" continuamente, ogni giorno, senza mai sentirlo davvero, dato che per la maggior parte delle volte si trattava soltanto di stupide cotte adolescenziali che con il tempo si finiva inevitabilmente per dimenticare.

Ed io, come al solito, non ero come loro.

Will mi aveva detto ti amo dopo alcuni mesi e mi dispiaceva non riuscire a ricambiare il sentimento a pieno ma, nonostante ciò, non mi aveva mai messo fretta, dicendo che avrebbe aspettato il momento giusto.

E, se ve lo stavate chiedendo, la risposta è no: non ero più vergine da un po'. Avevo perso la verginità proprio con lui, era stato piacevole e appagante, ma non si trattava di fare l'amore, lo sapevo benissimo.

Stavo bene con lui, mi importava davvero di come stava e tenevo alla sua presenza nella mia vita che oramai era diventata una costante, ma di amarlo non se ne parlava proprio.

Perché ci stavo insieme? Semplice. Era uno dei pochi ragazzi che era riuscito ad interessarmi, sia caratterialmente che fisicamente, e non avevo voglia di mandare tre anni all'aria per un mio semplice capriccio.
E speravo, magari, che un domani il bene che provavo per lui si sarebbe trasformato in amore.
Tutto qua.

«Allison Marie Walker, ti do altri dieci minuti di tempo a disposizione!», urlò ancora mia madre dal piano di sotto.

Ebbene, mia madre Charlotte era una matta di donna quando si ci metteva, ma sapeva essere anche amorevole ed io l'adoravo. Era tutta la mia famiglia, d'altronde. Tutto ciò che mi rimaneva di più caro.

Ma odiavo soltanto una cosa di lei: quando mi chiamava per nome intero.

Tutti sapevano quanto fastidio mi provocasse.
Preferivo essere chiamata Ally, soltanto Ally.

Ebbene, questa ero io.

Una normale ragazza di diciannove anni pronta per il suo primo giorno di college.

Una piccola struttura, un'università, che per me valeva a dire: nuovo inizio, nuova aria da respirare.

Perché, la cosa che odiavo sopra qualsiasi cosa era proprio la monotonia.

Non sapevo cosa mi aspettasse, in cosa mi sarei imbattuta, quali nuove emozioni avrei provato.
Ma ero curiosa, e volevo scoprirlo ad ogni costo.























ANGOLO AUTRICE.
Ed ecco il prologo di questa nuova storia, che ne pensate?
Spero che vi piaccia e attendo i vostri pareri con ansia, per me è molto importante.

Per chi si trovasse qui per caso è consigliabile leggere prima "The time of stars", ma non è necessariamente obbligatorio per comprendere la trama della seguente storia. È possibile leggerle anche in ordine invertito.

Per chi, invece, mi conoscesse già... beh, sappiate che vi amo, miei readers! Siete meravigliosi!♡

E nulla, buon proseguimento!

Kiss.

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