Capitolo 37 - Un pezzo di te.

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Era strano forte, il nostro rapporto.

Non si capiva mai niente quando si parlava di noi e ne ero perfettamente consapevole.

Non sapevo per quale motivo fosse tutto talmente complicato tra me e lui, ma in quel momento non me ne preoccupai più di tanto, perché sapevo che stava per farmi diventare parte di una cosa importante per lui, che mi stava permettendo di avvicinarmi, che mi stava mostrando - anche se non a parole - un pezzo dell'incasinato puzzle che era la sua vita.

Aveva lo sguardo duro concentrato sulla strada, le braccia tese ad afferrare il volante della sua auto, la mascella contratta.

Pensai ad un tratto che si fosse pentito di avermi portata con lui, poiché durante il tragitto attorno a noi regnò solo e soltanto silenzio, ma quando arrivammo a destinazione e mi prese per mano, dopo essere scesi dalla macchina, il mio dubbio sparì.

Ci trovavamo davanti al Sinal Medical Center, a west, e mi domandai cosa ci facessimo lì, ma non era il momento di fare domande così, l'unica cosa che feci fu quella di regalargli un sorriso di incoraggiamento.

Qualsiasi cosa stessimo per fare, sapevo che era difficile per lui e che aveva bisogno di un po' di forza in più.

Quando varcammo la soglia dell'ospedale, ci dirigemmo verso l'ascensore e quando le porte si chiusero, dopo che Kyle premette il bottoncino che avrebbe dovuto portarci al terzo piano, accadde tutto in fretta: si avvicinò a me, mi prese il viso tra le mani, sospirò, poi mi baciò.

Non era uno dei soliti baci che ci eravamo concessi molte volte prima, no, era completamente diverso.

In quel bacio percepii tutta la sua frustrazione e la tristezza.

Quando si staccò da me, poggiò la sua fronte contro la mia e mi guardò dritta negli occhi.

«Scusami, ma ne avevo proprio bisogno», mormorò ed io sorrisi lievemente, perché non c'era bisogno che si scusasse, perché alla fine lo volevo anch'io.

Forse anche più di lui.

Le porte si aprirono e il suo sguardo tornò ad essere cupo, mentre ci immergevamo tra i corridoi azzurri.

Un'infermiera sulla trentina, che si trovava al box informazioni, salutò Kyle e gli disse: «Anastasia sta magnificamente, oggi», con tono di voce dolce.

Kyle annuì, poi mi trascinò con sé verso la fine del corridoio.

Ci fermammo davanti una porta, stanza numero 45, azzurra anch'essa, e strinse la presa sulla mia mano.

«Ehi», sussurrai guardandolo. «Vuoi che rimanga fuori?»

Lui scosse la testa, si passò la mano libera tra i capelli e poi bussò alla porta.

Si sentii un flebile "avanti", e quando varcammo la soglia, vidi una donna stessa su un lettino d'ospedale.

Era bella, bella come il sole, specialmente quando notai il suo sguardo prima spento, illuminarsi alla vista del ragazzo al mio fianco.

I suoi occhi scuri brillavano di luce propria, le sue labbra piegate in un dolce sorriso.

Poteva avere quarant'anni, non di più, e la trovavo stupenda, nonostante la bandana colorata che le fasciava la testa.

La somiglianza tra loro due era sottile, i lineamenti poco simili, eppure si notava se li osservavi attentamente.

L'odore di disinfettante e la tristezza quando capii chi fosse quella donna mi inondarono, facendomi vorticare la testa per un momento.

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