Capitolo 7 - Presentimento.

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«Ma cos'ha Margaret? La vedo distante ultimamente», chiesi guardando la mia amica andare via, dopo che ci aveva evitato in maniera eclatante per l'ennesima volta, inventando una stupida scusa.

Era da circa una settimana che ci rivolgeva a stento la parola, che ci salutava solo ed unicamente quando era strettamente necessario.

Avevo provato a fermarla, a chiederle cosa non andasse, ma sviava sempre l'argomento e correva via.

«Non chiederlo a me, non ne ho la più pallida idea», rispose Sharon mostrandosi confusa quanto me.

Era davvero strano il suo atteggiamento e volevo vederci più chiaro, sinceramente.

Ero decisa a scoprire cosa la turbasse così tanto da costringerla a stare sola, privandosi della nostra compagnia.

Andammo dritte in camera, gettandoci immediatamente sul letto, a peso morto.

Io personalmente ero stanchissima e il sonno mi stava divorando lentamente, dato che ero sveglia dalle otto del mattino e la notte prima ero riuscita a prendere sonno soltanto verso le tre.

Le palpebre divennero subito pesanti, chiudendosi lentamente: non ne volevano proprio sapere di rimanere aperte.

E, presto, caddi in un sonno profondo privo di sogni.

La suoneria di un cellulare interruppe il mio sonno tranquillo e mi costrinse ad aprire le palpebre.

Non era il mio, bensì quello della mia migliore amica che era tranquillamente sdraiata sul suo letto, coperta fin sopra la testa dal pesante piumone che ricopriva il morbido materasso.

Tentai di chiamarla per nome, prima normalmente ma poi, vedendo che non dava nessun segno di vita, cominciai a gridare.

Eppure lei non sembrava volersi svegliare.

Dio, nemmeno un ghiro aveva un sonno tanto profondo e pesante quanto il suo.

Così, afferrai uno dei tanti cuscini che giacevano sul mio letto e glielo lanciai addosso, colpendole la testa.

Borbottò qualcosa di incomprensibile che fece susseguire un altro lancio.

E, finalmente, la mia migliore amica aprì le palpebre di scatto.

Gli occhi erano arrossati e spalancati, si guardava intorno spaesata e quando posò lo sguardo su di me provai un leggero timore: sembrava posseduta.

Inoltre, quando qualcuno la svegliava in malo modo diventava una schizofrenica.

«Rispondi al telefono, non smette di squillare», dissi e lei mi trucidò con lo sguardo, per poi sbuffare e rispondere alla chiamata.

Ponendo, con mia grande gioia, fine a quella fastidiosa musichina che aleggiava fino a qualche secondo prima in tutta la camera.

Mentre mi infilavo sotto le coperte, udii dei pezzi di conversazione.

«Sì? Questa sera? Okay, perché no. D'accordo, perfetto. Adesso torno a dormire, buonanotte», mormorava con voce parecchio assonnata.

Quando chiuse la chiamata fuoriuscii la testa da sotto le coperte e le domandai chi fosse.

«Trevor», rispose «Ci ha chiesto di andare nella sua camera questa sera, per vedere un film tutti insieme», continuò.

Stavo per rispondere che ci sarei stata anch'io, che mi sarei unita volentieri, ma il mio cervello rammentò che avessi già un impegno.

Dovevo uscire con Will, voleva portarmi a cena fuori.

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