Capitolo 10 - Uno scherzo andato male.

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Dei forti colpi alla porta mi fecero sobbalzare di scatto, ero sola in camera dato che Trevor e Sharon erano andati a prendere un caffè da Starbucks, in città, promettendo di portarne uno anche a me.

E dubitavo fortemente che fossero loro, anche perché avevano le chiavi della stanza.

Così, un po' tintinnante, mi avviai con cautela verso essa che continuava a vibrare e quando la aprii trovai davanti ai miei occhi il viso del mio peggior nemico rosso di rabbia.

Era una maschera irriconoscibile, sembrava fuori di sé, era irritato al massimo ed io tentai di reprimere un sorrisetto e far finta di nulla.

Si precipitò nella mia camera, chiudendo la porta con un calcio e costringendomi ad indietreggiare.

«Cerchi di fare la furba con me, angelo?», sibilò continuando ad avvicinarsi a me, fino a farmi ritrovare con la schiena premuta contro la parete.

«Non so di cosa tu stia parlando», dissi tranquillamente.

Un sorrisetto malvagio fece capolineo sul suo viso, illuminandolo e donandogli un'aria temeraria.

«Non sono stupido, angelo. E tu stai giocando con il fuoco», mormorò.

Sostenni il suo sguardo, nonostante i suoi occhi scuri fermi nei miei mi donassero un certo senso di fastidio allo stomaco.

«Magari voglio scottarmi», lo provocai.

Posizionò di colpo una mano sul muro accanto al mio orecchio, così bruscamente da farmi sobbalzare.

«Non costringermi a diventare una cattiva persona», sibilò.

Io ridacchiai. «Dovrei avere paura? Hai intenzione di farmi qualche altro scherzo?», lo sfidai ancora.

Il suo viso si avvicinò al mio, in modo che a separarci ci fossero soltanto pochissimi centimetri.

Si leccò il labbro inferiore e puntò lo sguardo sulla mia bocca appena schiusa, facendomi attorcigliare le budella.

Il cuore prese a battere ad una velocità anormale e mi chiesi mentalmente cosa mi stesse accadendo e per quale ridicolo motivo, poi.

«Sì, mi limiterò a questo, probabilmente. Anche se ci sono tantissime altre cose che vorrei farti», sussurrò, la voce rauca e disinvolta.

Sapeva di essere bello, di avere un ascendente potente sul genere femminile, un qualcosa che ipnotizzava, e lo usava a suo favore.

Ma anche io sapevo di avere delle carte da poter giocare al meglio.

Mi avvicinai un altro po' al suo viso, i nasi quasi si sfioravano e le labbra erano vicinissime, tanto che riuscivo a sentire il suo fiato al sapore di menta.

«Hai paura di rischiare?», mormorai facendo vagare il mio sguardo dai suoi occhi alle sue labbra, mentre il cuore galoppava felicemente nel petto.

Non sapevo cosa stavo facendo, ma volevo dimostrargli che non era soltanto lui ad avere del potere.

«Assolutamente», mormorò, la voce calda e bassa.

«Allora perché non agisci e basta, invece di parlare? Ti manca il fegato?», lo provocai ancora un'ultima volta.

Una scintilla divertita e forse anche un po' eccitata gli attraversò lo sguardo ed io non potei che esserne contenta: avevo fatto bingo.

All'improvviso, mi afferrò con entrambe le mani per i fianchi, applicando una leggera pressione e si spinse contro di me, facendomi percepire qualcosa che non volevo assolutamente percepire.

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