2.3

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Era sera quando Claudio era riuscito ad avere finalmente un momento libero al bar. Non aveva avuto neppure il tempo per realizzare cosa stesse per accadere. Era consapevole che a quell'ora non sarebbe arrivato più nessuno, quindi chiuse la saracinesca alle sue spalle per dirigersi all'appuntamento con Mario. Aveva deciso di non passare da casa sua perché, naturalmente, ci sarebbe stata anche Alessia e la sua presenza sarebbe stata l'ultima cosa di cui avrebbero avuto bisogno.

Pensava a quel momento da tutto il giorno, da quando, nel pomeriggio, aveva mandato un messaggio a Mario chiedendogli di vedersi per parlarsi. Non sapeva come la situazione si sarebbe risolta, ed era spaventato dalla portata della questione. Non aveva neppure idea di cosa gli avrebbe detto, aveva solo una confusione incredibile a regnare tra i suoi pensieri e le sue percezioni.

Ed era strano non sapere cosa dire a Mario, il suo Mario. Era strano non sapere come approcciarsi a lui, come rivelargli quello che sentiva dentro. Il punto era che non sapeva cosa sentiva, e non avrebbe potuto spiegarlo neanche a se stesso. Non capiva più le sensazioni della sua mente e, soprattutto, gli impulsi del suo corpo.

Entrò in macchina e si diresse verso casa di Mario col cuore in tumulto, mandandogli un messaggio per annunciargli di essere quasi arrivato. Una volta che fu da lui, notò che Mario era già sotto al palazzo ad attenderlo, e sentì un tonfo allo stomaco nel momento in cui alzò lo sguardo nero e corrucciato e lo guardò a sua volta. Si scrutarono silenziosamente, per qualche istante che sembrò durare qualche vita. Poi Mario si ridestò e, circumnavigando la macchina, raggiunse la portiera per entrare e sedersi accanto a Claudio.

Non si salutarono neanche. Neppure una parola. Claudio rimise in moto e strinse forte il volante osservando Mario con la coda dell'occhio, incapace di intavolare un qualsiasi argomento. Anche Mario era teso e in difficoltà. Claudio lo notò dal fatto che neppure lo guardava, oltre a non rivolgergli la parola.

Tirò un grosso sospiro e si decise a parlare lui stesso. Da qualche parte avrebbero pur dovuto iniziare.

"Come va?"

Mario ci mise qualche secondo a rispondere. L'atmosfera era tesissima e l'ansia palpabile. Entrambi sapevano di essere ad un punto di non ritorno della loro relazione. Eppure qualcosa li tratteneva ancora giù, sul fondo degli abissi. Non voleva emergere. Forse era la paura di fare qualcosa di sbagliato.

"Bene... a te?"

Claudio sospirò. "Altra domanda?"

Non riusciva a mentire. Non a Mario. Per quanto avesse provato a minimizzare ciò che era successo, proprio non riusciva a tranquillizzarsi.

Il mare in tempesta imperversava in lui. Schiumava. Lo vinceva.

"Che ci facciamo qui?", chiese Mario con un tono che non lasciava trasparire emozioni.

Claudio tremò a quella domanda. Possibile che non avesse intenzione di chiarire? Possibile che per lui andasse bene smettere di parlarsi, così da un momento all'altro,

dopo tutto ciò che la loro storia aveva significato nella sua vita?

"Io... volevo andare in un posto."

Per quanto la situazione potesse essere assurda ed imbarazzante, Claudio sapeva di avere di fronte a sé Mario, il suo Mario. Cercò di convincersene mentre guidava verso il lago dov'erano stati quando si erano baciati, eppure gli sembrava di avere davanti una persona del tutto diversa dal suo più caro amico. Una persona totalmente estranea, qualcuno che neppure somigliava al suo Mario.

Era così scontante che Claudio si chiese se avesse fatto qualcosa di sbagliato, se avesse vissuto un film totalmente diverso da quello di Mario. Eppure quella sera, al suo compleanno, gli era sembrato così vicino. Avrebbe dovuto essere lui quello maggiormente confuso, quello con più remore, con più paure.

L'altra parte di meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora