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Il mare è come uno spirito libero. Sono pochi i mesi all'anno in cui è calmo. Solitamente è agitato, a volte in tempesta. Di notte è nero come la pece, gelido. Il mare è uno spirito libero che continua ad andar via.

Però torna sempre dalla sua riva.

Anche quando non vorrebbe, le si riversa contro, a volte con forza, altre volte con dolcezza. E per ogni volta che sta prendendo la rincorsa per ritrarsi, per lasciarla, sa già che tornerà comunque da lei. Perché non ha scelta.

Neanche Mario aveva scelta. Lo sapeva nell'esatto istante in cui aveva lasciato quel locale, la sera precedente. Lo aveva sempre saputo, da tutta la vita.

In fondo cosa sarebbero stati loro due, se non fossero stati insieme?

Mare e riva. L'acqua e la terra.

Eppure, da quando Mario era andato via dal locale, Claudio non lo aveva ancora chiamato. Sembrava sinceramente spaventato dall'idea di perderlo, ma forse non lo era abbastanza.

Mario sedeva su quello che era stato il suo letto fino a pochi mesi prima, fissando il vuoto incapace di proferire parola.

Si sentiva svuotato, ecco il termine giusto. Svuotato dai pensieri, dai sentimenti fino a quel momento provati, come se non esistesse più nulla nel suo organismo a fargli provare determinate sensazioni. Non più gli organi, non più le percezioni. Nulla di nulla. Mario e il suo vuoto siderale.

Certe cose ti cambiano per sempre. E così era accaduto la sera precedente. Certe espressioni sul volto della persona che ami, che mai pensavi potessero comparire. Certe parole da lui pronunciate, certi gesti. Certe sensazioni che mai avresti pensato di provare.

Certe cose ti cambiano per sempre.

Eppure Mario non riusciva a piangere. Non lo aveva fatto la sera precedente, non lo aveva fatto durante la notte, non lo aveva fatto la mattina seguente. Era solo capace di guardare il vuoto, come un corpo morto, un mucchio di ossa e pelle, svuotato di tutto quello che aveva contenuto un tempo: passioni, speranze, amore. L'amore, la cosa più bella che gli fosse capitata. Quella a cui non avrebbe mai creduto di poter aspirare.

E invece era capitato proprio a lui. Claudio, il suo corpo perfetto, il suo sguardo di ghiaccio, le sue premure, le sue protezioni, le sue mani grandi con le unghie corte, le sue braccia possenti e il sorriso mozzafiato erano capitati proprio a lui.

Non ci si riprende da tutto questo. Mario non si sarebbe ripreso. Era come bloccato in quel limbo, agghiacciato. Il suo cuore gli sussurrava di lottare ancora, di riprenderselo. Di riprendersi la sua felicità. Di tornare ad inorgoglire il petto della sua presenza. Ma la sua mente voleva aspettare. Attendere un segnale da parte di Claudio. Dopo com'era andata la sera precedente doveva essere lui a cercarlo.

E, sì, era vero, ogni volta che le cose non andavano era sempre stato Claudio a cercare lui, sempre Claudio a rimediare con una telefonata, un messaggio, presentandosi sotto casa. Ma stavolta Mario non poteva cedere. Non poteva farlo perché c'era qualcosa di molto più grande dell'amore che provava per Claudio. Una bestia enorme che lo stava divorando lentamente: la paura di non essere abbastanza. La paura di essere respinto, gettato via.

Perché, in quegli anni, era come se Mario fosse stato imballato nel cellophane. Non era stato scartato, non era stato utilizzato. Aveva vissuto immobilizzato dai suoi sentimenti per Claudio, incapace di fare un solo passo in avanti rispetto al suo amore. Da quando stava con Claudio aveva paura di guardarsi allo specchio e scoprire che quel cellophane non lo rivestisse più. E forse era così. Era stato usato, maltrattato, sgualcito. Un mucchio di ossa e pelle senza più nulla all'interno.

L'altra parte di meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora