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Perché non è mai cominciata per noi,
e non può finire tra noi.





Dieci giorni.

Erano passati dieci maledettissimi giorni da quando Claudio era stato a Roma, e a Mario mancava il respiro. Si sentiva completamente asfissiato da quella vita che cominciava a stargli stretta, senza i suoi affetti, senza le persone che avevano sempre rappresentato l'àncora della sua esistenza. Eppure era come bloccato. Non riusciva a prendere una decisione.

Non trovava il coraggio di chiamare Alessia. Il solo pensiero di sentire la sua voce lo mandava in confusione, lo faceva sentire fragile, in una lotta continua tra la ragione e l'istinto. Si era ripromesso che per un po' non avrebbe chiamato Claudio, aveva deciso di non scrivergli, di sparire momentaneamente, nonostante Claudio lo avesse implorato di non farlo. Eppure non era mai riuscito a rispettare fino in fondo questo proposito. In quei dieci giorni aveva risposto a qualcuno dei messaggi che Claudio gli aveva inviato, anche se non aveva mai accettato le sue telefonate. Sentire la sua voce lo avrebbe completamente distrutto.

Uscì dal negozio stanco, quella sera. Da quando le giornate si susseguivano sempre uguali, senza emozioni, Mario si sentiva stanco e con un forte dolore al centro del petto. Quella serata non faceva eccezione. Era particolarmente vulnerabile, e sebbene non lo avrebbe ammesso neanche a se stesso, il motivo era abbastanza chiaro: Claudio non si faceva sentire da tre giorni. Avrebbe dovuto sentirsi sollevato, perché gli aveva chiesto lui stesso di allentare un po' la presa, ma in realtà era veramente a pezzi. Non sentire Claudio, non poter avvertire come stesse soltanto dal tono della sua voce, non poter aspettare sera per far partire una chiamata e sgomberare la mente con il suono della sua risata gli risultava davvero un'impresa difficile. D'altra parte, si rendeva conto di non poterlo tenere sul filo, in balia del proprio umore.

Com'era possibile che Claudio non lo avesse cercato? Aveva smesso di pensare a lui? Aveva smesso di sentirlo così tanto?

Dopo tanti anni in cui si era sentito l'unico a provare un sentimento tanto grande quanto distruttivo, ancora non riusciva a credere che anche Claudio provasse per lui qualcosa che andasse oltre l'amicizia. Anche se non sapeva dare un nome a ciò che stavano vivendo, anche se non era riuscito a dargli una collocazione, sentiva comunque che qualcosa di importante si fosse mosso tra loro.

Ma non era il momento. Non era il momento per lasciarsi andare, non era il momento per darsi a Claudio e per prendere tutto di lui. Per quanto l'avrebbe desiderato con tutto se stesso, non era il momento.

Sospirò stancamente estraendo il cellulare dalla tasca che, durante quella giornata, non aveva mai vibrato. Nessuna chiamata persa, nessun messaggio. E, ancora, un senso di vuoto s'impossessò delle sue viscere. Un senso di impotenza, che gli impediva persino di respirare. Claudio sta andando avanti con la sua vita. Non significo più niente per lui.

Lo assalì uno di quei pensieri folli che ti vengono solo quando sei perdutamente innamorato ed hai paura di perdere la persona che per te significa tutto. Quei pensieri a cui nessuno crederebbe, tranne te. Quei pensieri che sfiorano l'assurdo, che esistono oltre la linea di confine del buon senso.

E guardare quel cellulare muto lo spinse a fare ciò che fino a quel momento non aveva mai fatto. Fece partire una chiamata a Claudio, consapevole che se ne sarebbe pentito nell'esatto istante in cui avrebbe attaccato. Però intanto, cavolo, si sarebbe sentito vivo!

Portò il cellulare all'orecchio mentre si avvicinava alla stazione della metro. Claudio rispose al secondo squillo.

"Pronto." Una voce distante, quasi metallica.

L'altra parte di meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora