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"I primi secondi dopo il risveglio
ho spesso dei momenti di paura
che non so se so dove sono
che non so se so chi sono
o dove devo andare

potresti voler essere tu l'addetta al ricordo?
svegliartimi accanto
dirmi
"va tutto bene, sei tu, sono io, va tutto bene, non ti preoccupare"

tirarmi su quelle pesantissime persiane
far entrare la luce
sorridermi

la colazione la preparo io."


Il telefono squillò vanamente finché il tentativo di chiamata non s'interruppe naturalmente.

Mario sbuffò lanciando il cellulare sul tavolo.

"Secondo te perché non mi risponde?"

Claudio circumnavigò il tavolo e gli prese il volto tra le mani. "Dalle tempo, Mario. Magari ha da fare, magari deve metabolizzare. Non dev'essere semplice accettare una cosa del genere."

Mario sospirò chiudendo gli occhi. Il contatto con la pelle di Claudio lo rendeva sempre malleabile, creta tra le sue mani. Eppure non riusciva a non pensare a sua sorella, alla sua sofferenza, al fatto che le stesse infliggendo del dolore, ma soprattutto un'umiliazione.

L'umiliazione di sapere che l'uomo che hai amato durante la tua adolescenza e la tua prima giovinezza è stato ed è innamorato di tuo fratello. Carne della tua carne. Sangue del tuo sangue.

Mario sapeva che non sarebbe stato semplice, ma stavano percorrendo l'unica via possibile. E il solo modo che aveva per difendersi da quella vita tremenda e difficile era farlo con Claudio. Perso tra i suoi respiri, creta nelle sue mani.

Claudio e il suo tocco deciso ed incandescente. Claudio e il suo essere completamente dedito a quell'amore. Erano stati pazzi e ciechi. Si erano tolti la vita e le energie a furia di rincorrersi e di graffiarsi. Ma quei graffi erano guariti lasciando solo un segno profondo dentro di loro.

"Lo so, ma non ce la faccio ad aspettare.", gli rivelò guardandolo negli occhi. "Vorrei che mi parlasse."

Claudio si allontanò dalla sua figura avvicinandosi al frigorifero e prendendo una bottiglia d'acqua per poi versarne una parte in un bicchiere. Mario osservò i suoi movimenti, lo guardò sorseggiare piano, lo vide stringere gli occhi e poi posare il bicchiere nel lavello. Gli sembrava improvvisamente di conoscere di lui tutto ciò che c'era da sapere. Sì, avevano sempre avuto un rapporto che prevedeva una conoscenza profonda da parte di entrambi, ma in quegli ultimi mesi Claudio era entrato nel suo intimo prendendo posto all'interno della sua coscienza, della sua verità, delle sue giornate e dei suoi più intimi pensieri.

"Non continuare con quella storia che non avrei dovuto parlarle.", gli disse Claudio evitando di guardarlo, con un'espressione tutt'altro che distesa.

Quando reagiva in quel modo, Mario aveva paura. Temeva che lui potesse ritrarsi, che potesse perdere di vista quello che erano stati e che sarebbero sempre stati. Temeva che potesse stancarsi dei suoi tentennamenti e del suo umore altalenante. Eppure gli aveva sempre dimostrato di esserci, ad ogni modo, ad ogni costo. Gli aveva dimostrato che nulla al mondo contava più di lui, per Claudio. Gli aveva dimostrato di voler condividere la vita e i sospiri, la luna al centro del cielo, le notti insonni e le volte in cui avrebbero avuto paura. Gli aveva dimostrato di essere pronto. Ma Mario sentiva un disagio che non riusciva a collocare. L'incapacità di credere che, finalmente, tutto andasse bene. L'impossibilità nell'accogliere con naturalezza qualcosa alla quale per tutta la vita si è stati a un passo di distanza senza la forza per allungare la mano e stringerla.

L'altra parte di meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora