3.3

7K 495 138
                                    

Amore è il fatto che tu sei per me il coltello
Col quale frugo dentro me stesso.



Mario piegò l'ennesimo capo di abbigliamento della giornata. Tutta la stanchezza gli si era depositata sulle spalle condensandosi in una strana sensazione nuova. I giorni a Roma non erano semplici. Certo, sarebbe potuta andare molto peggio. Il lavoro lo aiutava a non pensare, e quando era a casa Dafne riusciva sempre a distrarlo con i suoi strani scherzi e la sua allegra follia. Eppure c'era qualcosa che gli premeva al centro del petto e che non gli consentiva di respirare per davvero.

Chiuse gli occhi e sospirò, riponendo gli ultimi capi sugli scaffali. Il suo turno era terminato da diversi minuti, ma si era trattenuto al negozio per finire il lavoro con tutta calma. Non aveva fretta di rientrare, anzi, preferiva intrattenersi per aiutarsi a non pensare. Anche se era lì solo da pochi giorni si era creata un'atmosfera piuttosto familiare con i suoi colleghi. A Roma sembravano essere tutti alla mano.

Guardò Federico, che condivideva con lui il turno, e gli fece cenno di uscire a fumare una sigaretta.

"Mario, puoi andare", gli giunse alle spalle la voce del titolare. "Hai sforato di mezz'ora oggi, va' a riposarti."

Mario sapeva di essere un lavoratore atipico. Uno di quelli che, invece di provare a scansare il lavoro, o quantomeno a fare quanto gli spettasse, dava anima e corpo a qualsiasi cosa alla quale si approcciasse, anche se non gli venivano pagati gli straordinari. Quella circostanza non era diversa, anzi, gli era ancora più facile impegnarsi perché aveva tutta l'intenzione di evitare di pensare, e lavorare di più era, per lui, un toccasana.

"Va bene", gli rispose salutando tutti. Erano le 20.30, il negozio avrebbe comunque chiuso nel giro di una mezz'ora. Mario uscì, investito dall'aria calda di Roma, in contrasto con quella condizionata del negozio che lo teneva al riparo dal torrido caldo estivo. Senza pensare estrasse il pacchetto di sigarette e ne accese una, e fece per dirigersi alla metro, lì, poco distante dal luogo di lavoro.

Avanzò di qualche passo, poi sentì una mano bloccargli la spalla. Tutto si fermò a quel tocco. Le stagioni, i mesi, gli anni. La vita trascorsa quella settimana, le sue vite precedenti, quelle che sarebbero venute in futuro. Tutto racchiuso in quell'istante. Quello in cui seppe di chi era quella mano grazie alla sola pressione del suo tocco. Quello in cui non osò sperare, eppure lo sperava con tutto se stesso.

Si voltò piano, indeciso se esserne felice o spaventato.

"Clà..."

Gli occhi di ghiaccio gli trafissero l'anima, ancora una volta.

Claudio era lì, di fronte a lui, un'espressione strana in volto, lo sguardo perso ed impaurito. Ma era sempre il suo Claudio. La curva delle labbra verso l'alto, in un sorriso storto, la luce nei suoi occhi spaventati. La forma del naso, le sopracciglia, i capelli. Il suo Claudio.

Quello che adesso poteva definire suo per davvero. Perché lo era stato, anche se una volta sola, e lo sarebbe stato per sempre.

"Che ci fai qui?", si decise a chiedergli, dato che Claudio non accennava a voler parlare.

Claudio inspirò il fumo da una sigaretta, e solo allora Mario ricordò di averne a sua volta una tra le dita. Inspirò anche lui, giusto per far qualcosa, nonostante fosse letteralmente pietrificato.

"Che ci faccio, secondo te?", gettò la sigaretta e spense il mozzicone sotto la suola della scarpa.

A Mario mancò il respiro per qualche breve istante. "Che... che ci... Dimmelo tu."

Claudio gli si avvicinò, e Mario poté avvertire anche ad una distanza ancora considerevole il profumo della sua pelle, che ormai conosceva così bene da essersi impresso nelle sue narici e nella sua memoria. Il suo profumo preferito, che gli ricordava il momento più intenso di tutta la sua vita.

L'altra parte di meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora