thirteen.

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**Margot's Pov**

"Dai Salem, facciamoci forza" dissi sdraiandomi sul divano, mentre il mio gatto si appollaiò sul mio grembo.
Ero tornata da poco dall'appuntamento, se così si poteva definire, con il mio capo.
E ora stavo aspettando le tre del pomeriggio per andare a prendere i miei genitori in aeroporto.
Ero davvero demoralizzata all'idea di rivedere la mia dolce e cara mammina girare per la casa, ispezionando ogni singolo perimetro di essa, mentre il mio caro e dolce papino si sarebbe seduto con la schiena ritta sul mio divano, lanciandomi di tanto in tanto qualche occhiataccia intrisa di pudore nell'aver creato una figlia tale.
Questa scena si riprodusse dinanzi ai miei occhi qualche ora dopo con l'aggiunta del mio caro e dolce fidanzatino.
Andrea bramava ardentemente di rimanere da soli, non per rendere quella fredda atmosfera più accogliente e romantica, ma per rifilarmi una qualche ramanzina che io però non ero pronta ad ascoltare.
"Elise, come puoi tenere nel frigo tali schifezze, pensavo di averti insegnato qualcosa" disse severamente mia madre, la quale teneva nella mano sinistra un barattolo di burro d'arachidi e nella destra una busta Marshmallow.
Che fossi fissata per quei due alimenti non era di certo un mistero.
Chiudendo questa inutile parentesi, c'era un'altra cosa che odiavo di mia madre, ovvero, la malsana abitudine di usare il mio secondo nome, il quale odiavo, se pronunciato dalle sue labbra.
"Io glielo dico sempre ma niente da fare, non mi ascolti mai Margot!" Concordò Andrea con mia madre, mentre mio padre guardava con sguardo arrogante il mio piccolo gatto.
Alzai gli occhi al cielo, al fastidioso intervento da parte del mio ragazzo e decisi, come sempre, di non proferire una parola.
"Per non parlare dell'enorme strato di polvere che giace su questo bancone" si lamentò nuovamente mia madre, passando un dito sul ripiano della cucina, dove, lo strato di polvere di cui lei tanto si lamentava era praticamente inesistente.
Non so se ero io a chiedere troppo, ma in fondo volevo solo una madre che appena mi vedeva venisse ad abbracciarmi e io ricambiavo il suo dolce abbraccio, che doveva sapeva di casa, e le confessavo quanto mi fosse mancata.
Ma non era così, non lo sarebbe mai stato con Dayne.
Erano questi i momenti nei quali sentivo la profonda mancanza dei miei nonni e desideravo solo volare a casa da loro.
Feci un profondo sospiro, in modo tale da calmarmi sia fisicamente che psicologicamente.
"Mi è impossibile pulire la casa visto che ho un lavoro che mi occupa parecchio tempo." Spiegai alternando lo sguardo da mia madre ad Andrea, i quali mi guardavano seri, ma altrettanto seria era la mia espressione nei loro confronti.
"Assumi qualcuno allora!" Disse ovvio Andrea, alzando gli occhi al cielo.
"Mi pare inutile spendere soldi per una domestica, preferisco pulire io non appena mi è possibile." Spiegai accarezzando il pelo di Salem. Ogni qual volta che c'erano Andrea ed i miei genitori nei paraggi, il mio gatto aveva perennemente il pelo e le orecchie ritte, sembrava avesse paura di questi.
"Allora preferisci vivere nella sporcizia totale piuttosto che spendere soldi? Non pensavo fossi anche tirchia, Elise" ribatté mia madre guardandomi con sufficienza, mentre io cercavo di non far trasparire alcun espressione dal mio viso.
La donna si girò di scatto prendendo a camminare in bagno, mentre Andrea prese il telefono e lo vidi trattenere un sorriso sincero nel leggere un messaggio da chissà chi, inarcai un sopracciglio ma lascia perdere.

Nell'attico aleggiava una tensione inaudita e un silenzio che veniva disturbato solo dal fastidioso rumore dei tacchi a spillo di mia madre.
"È possibile che devi ancora comprare gli spazzolini con i pupazzetti disegnati sopra! Incredibile Elise, sei così infantile" disse mia madre dal bagno.
Faceva così male essere dichiarati 'infantili' quando io non ci trovavo niente di male se a vent'anni mi piaceva ancora comprare l'ovetto kinder o adoravo comperare i peluche giganti di Totoro.
Il punto era che mia madre faceva suonare la parola infantile come fosse un insulto alla mia intelligenza e a qual punto ciò faceva davvero male.
"Concordo!" Esclamò Andrea, distogliendo gli occhi dal telefono, mentre mio padre continuava ad osservare disinteressato la scena.
"Fortuna che hai al tuo fianco un ragazzo bravo ed intelligente come Andrea e non uno di quei ragazzi poco raccomandabili che girano oggi" concluse poi mia madre, sorridendo ad Andrea.
"Già, che fortuna" dissi sorridendo, ma quel sorriso sembrò più una smorfia.
"Non sembri molto entusiasta" disse mio padre serio, come al solito interveniva solo per creare maggior scompiglio ed evidenziare cose che non dovevano essere evidenziate.
"Questo è quello che pensi tu, Davide" risposi con tono acido. Non lo chiamavo papà, da ormai una vita.
"È possibile che tu debba comportarti in modo così poco educato anche con tuo padre?" Mi rimproverò mia madre.
Al che io mi alzai lentamente dal divano, stando attenta a non svegliare Salem.
Andai in camera mia per infilarmi il giubbotto di pelle e andare a prendermi un cappuccino da Starbucks.
"Dove stai andando?" Chiese Andrea, quasi sconvolto dal fatto che avessi mancato di rispetto a quella che doveva essere mia madre.
"Il più lontano possibile da voi" risposi, prendendo la mia borsa.
"Ora, vi accompagno al vostro hotel, per cui siete pregati di uscire da casa mia, che mi piace così com'è" dissi guardando negli occhi uno ad uno, i quali fecero come detto e tirai un sospiro di sollievo non appena i miei genitori salirono sul taxi.
"Allora, andiamo da Starbucks?" Chiese Andrea e cercai di nascondere il mio sconcerto. Non aveva fatto altro che screditarmi tutto il tempo e ora si comportava come fosse tutto rose e fiori.
"Vado da Starbucks" evidenziai senza scompormi e lui rimase in silenzio notando che dai miei occhi traspariva nient'altro che serietà. Poi, rientrò in casa mia, ma non sapeva che appena sarei tornata l'avrei prontamente sbattuto fuori casa, ero arrivata al limite della sopportazione.

Dopo circa quindici minuti arrivai camminando allo Starbucks più vicino a casa mia, ordinai un semplice cappuccino con cacao e mi sedetti in uno dei tanti tavoli accanto alle enormi vetrate, con i divanetti imbottiti al posto di semplici sedie.
Notai che fuori aveva appena iniziato a piovere, adoravo quando pioveva e ciò era l'unica cosa che mi consolava in un momento come quello.
Ero arrivata al punto di non ritorno ed ero decisa ad andare avanti, senza Andrea però.
Il suo sorridere di fronte allo schermo del telefonino non aveva fatto altro che aumentare i miei dubbi, però non volevo arrivare a conclusioni affrettate, avrei analizzato il comportamento di lui stasera, poi, avrei tratto le mie conclusioni.

Dopo aver bevuto il mio cappuccino, uscii dalla caffetteria e aprendo l'ombrello percorsi la via di casa pronta per affrontare un'intera serata con il mio ragazzo.

Entrando in ascensore incontrai Niall, che supposi tornasse da lavoro in quanto era vestito con il suo solito completo blu e camicia bianca, i capelli come sempre tirati all'insù.
"Augurami buona fortuna" sussurrai, spezzando il silenzio venutosi a creare.
"Per?" Chiese lui continuando a guardare dritto.
"Se tieni a me, tu fallo e basta." Risposi, già pronta ad un suo eventuale silenzio, ma mi lasciò di stucco quando incrociando i suoi occhi con i miei disse:"Buona fortuna Margot"
Solo allora mi sentii davvero pronta per affrontare quella che sarebbe stata una serata piuttosto difficile.

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