fifteen.

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"Diamine Nialler! Non ti avevo mai visto così vicino ad una ragazza dai tempi di Diana...sono fiero del mio migliore amico!" Aveva detto Zayn non appena era entrato nell'attico.

Era passata una settimana esatta da quel momento e ora mi ritrovavo nel mio ufficio rigirandomi una penna fra le mani.
Il fatto che una ragazza si fosse avvicinata in modo così veloce a me, m'incuteva paura. Non avevo la minima intenzione di donare totalmente il mio cuore a qualcuno, perché sapevo che poi quest'ultimo se ne sarebbe andato.
Tutti se ne sarebbero andati in qualche modo.
Lasciandomi solo, proprio come aveva fatto Lei.
In una notte qualunque, dopo aver fatto l'amore, si era buttata nell'oceano, senza nessuno che la salvasse, senza un rumore, senza un grido, nulla.
Mi ero ritrovato vuoto il giorno dopo, senza voce, a causa delle svariate volte che avevo urlato il suo nome e l'avevo urlato così tante volte che ora solo pronunciarlo mi provocava un bruciore alla gola.
La verità era che io a lei ci tenevo più della mia vita ed ero talmente perso nel mio nido d'amore da non accorgermi che alternava momenti di pura felicità ad altri in cui provava un tristezza infinita.
Soffriva di bipolarismo e io non me n'ero accorto, nonostante i numerosi segnali.
Ero convinto di avere abbastanza amore per entrambi, ma invece non era così e io me ne accorsi troppo tardi.
A tal punto che un giorno mi ha lasciato così.
Da solo.
Senza nessuno che fosse disposto a offrirmi un po' della sua felicità per eliminare un po' della mia sofferenza.
L'unico a farlo fu Zayn, per quanto poteva, ma nemmeno quello fu abbastanza, perché lei mi mancava.
Mi mancava come l'aria, con i suoi occhi verdi che amavo guardare quando ci ritrovavamo a letto assieme.
Con i suoi capelli biondo platino che mi piaceva annusare perché sapevano di vaniglia e io adoravo la vaniglia.
Con il suo piccolo nasino schiacciato sul quale era presente una piccola spruzzata di lentiggini che la rendevano così tenera e indifesa, ci passavo le giornate a contarle e puntualmente dovevo ricominciare perché lei mi scoppiava a ridere in faccia dicendomi:"Sei buffo quando sei concentrato, corrughi le sopracciglia"
E Dio, la sua risata.
Dio, era come toccare il cielo con un misero dito ma forse, nemmeno questo è abbastanza per esprimere la felicità che provavo.
Un'altra cosa che adoravo di lei era il suo corpo, era armonioso. Non aveva poi un seno o un sedere così abbondante ma nonostante ciò, mi piaceva lo stesso guardarla quando entrava in bagno e lasciava appositamente la porta aperta per poi farsi scendere lentamente l'asciugamano.
Nonostante volessi una ragazza più bassa di me, lei era alta proprio come me e mi piaceva così.
Mi dava così tanto fastidio il fatto che non riuscissi a pronunciare il suo nome, significava che non avevo al completo il controllo di me stesso e sinceramente odiavo non averlo, poteva essere da maniaci, ma era uno dei miei tanti difetti e nonostante odiassi non averlo, lei, riusciva a rendermi impotente, debole e questo non mi dava fastidio.

A distrarmi dai miei pensieri fu il rumore della penna che si ruppe a causa della mia forte presa, quei ricordi mi rendevano schiavo di rabbia e frustrazione.
"Signor. Horan" bussò lievemente Grace entrando.
"Mh" dissi continuando a guardare il cielo, nel medesimo punto in cui c'era ogni notte la stella più luminosa di tutte.
Lei.
"La signorina Robbie è qui, posso farla entrare?" Chiese Grace in tono composto, nonostante l'avessi conosciuta in tutte le sue sfaccettature usava sempre un tono formale al lavoro.
"Non capisco tutta questa formalità, quella ragazza ormai entra nel mio studio come se fosse casa sua." Ironizzai non girandomi di spalle e sentii Grace ridacchiare leggermente.
Udii poi i tacchi della bionda battere sul pavimento, erano incerti e goffi, era palese che Margot non avesse ancora completa padronanza di essi.
"Cosa c'è?" Chiesi e il mio tono non doveva uscire così freddo e sgarbato, ma dovevo nascondere il fatto che un po', ma davvero molto poco, mi era mancato non vederla girare per il piano numero quarantacinque a creare scompiglio alle mie riunioni.
"Ho il fascicolo, devo consegnartelo...come sempre" rispose seria e la sentii un po' ferita, dalla mia freddezza.
"I miei nonni mi hanno insegnato che solitamente si parla guardando in faccia le persone" aggiunse poi, evidenziando il fatto che fossi ancora girato di spalle a guardare quel punto, non più con la stessa concentrazione di prima.
"Puoi andare, mi hai dato il fascicolo. Vai." Dissi freddo.
E capii che noi andavamo al contrario, dopo quell'episodio successo nel mio attico avremmo dovuto avvicinarci e invece ci stavamo allontanando, o meglio, la stavo allontanando.
"Bene." Disse stavolta nerbosa e prima che sbattesse la porta, perché sapevo che l'avrebbe fatto, le chiesi non riuscendo a mettere a freno la mia curiosità:"Perché hai detto 'i miei nonni' anziché 'i miei genitori'?"
"Cosa?" Chiese confusa fermandosi sul posto.
"Normalmente si dice 'i miei genitori mi hanno insegnato' tu hai detto 'i miei nonni mi hanno insegnato' perché?" Chiesi girandomi improvvisamente trovandola rivolta a guardarmi, oggi aveva i capelli ricci anziché lisci.
La preferivo riccia rispecchiava la vivacità che era in lei.
"Non deve interessarti. Sei solo il mio capo, d'altronde." Pronunciò, ma in quegli stessi occhi in cui solitamente trovavo nient'altro che pura ed ingenua felicità ora vi era solo ed esclusivamente delusione.
Sentii il mio cuore muoversi per qualcun'altro dopo tanto e ciò mi spaventava talmente tanto da innalzare ancora di più le mura.
"Già hai ragione, tu sei solo una semplice impiegata, come tutte le altre" dissi freddo guardandola negli occhi.
Idiota, chiedile scusa!
"Esci." Ordinai.
Diavolo, rimani.
"Tranquillo non ti disturbo oltre." Sussurrò e come predetto, sbatté la porta rischiandola anche di romperla.
Mi lasciai cadere sulla sedia massaggiandomi le tempie.
"Sign-"
"Grace, ti prego, rimanda tutte le riunioni di oggi." Ordinai stavolta più gentilmente.
"Ma signo-"
"Rimandale tutte" stavolta più deciso.
"Io...va bene." Disse sconfitta la mia segretaria e nel frattempo presi il mazzo di chiavi e il telefono, uscendo dal mio ufficio lasciando la mia segretaria all'interno.
Quando ero arrabbiato tendevo a sfogarmi entrando in macchina sfrecciando tra le strade di LA.
Avevo il vizio della velocità e lo sapevo che prima o poi ci avrei rimesso le penne, ma nulla era comparabile alla calma che m'incuteva. Andavo veloce con i finestrini abbassati e il vento che mi scompigliava i capelli.
Ero un'idiota, lo sapevo.
Ma non avrei permesso a Margot di sprecare la sua vita entrando in un labirinto dove erano contenuti tutti i miei dilemmi e i miei problemi relativi al mio orribile carattere e al mio intricato passato.
Margot era troppo ingenua.
Era una bimba.
Solo Diana era capace di arrivare al centro di quest'ultimo, perché solo lei aveva la chiave del mio cuore.


AHIA AHIA AHIA iniziano i primi problemi
al prossimo capitolo
xoxo

outlaws|| n.h.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora