~Capitolo cinquanta-prima parte~

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Non era passato troppo tempo dall'ultima volta in cui Hyungjae aveva ammirato il fiume Han, cangiante e placido, ai raggi del sole imporporati dall'alba

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Non era passato troppo tempo dall'ultima volta in cui Hyungjae aveva ammirato il fiume Han, cangiante e placido, ai raggi del sole imporporati dall'alba. Poteva essere l'inizio di un mattino qualunque, oppure poteva essere la perfetta quiete che precedeva la tempesta incalzante.

Il giovane non sapeva come sarebbero  andate e a finire le cose, ma era certo che quel suo rimirare il fiume come se le sue acque potessero dargli risposte e conforto, sarebbe ben presto finito. Avrebbe lasciato Seoul, una città viva, tumultuosa e folle, che non poteva offrirgli nient'altro che sofferenza e nostalgia, per le cose belle che gli aveva mostrato e che poi, per avidità o egoismo, aveva nuovamente nascosto. A cominciare da quel maledetto fiume che aveva inghiottito i genitori di Hyungjae, per finire con la morte di Iseul e le sue gambe paralizzate, costrette sulla sedia a rotelle.

- Con questo affare, non riuscirei mai a venire qui da solo.- commentò

- Forse col tempo ci riuscirai, fratello.- lo rassicurò Niro, seduto per terra sui ciottoli accanto a lui.

Hyungjae scosse la testa.

-Non ce ne sarà bisogno, ho deciso di andarmene.-

Niro guardò il fratello, il quale stava osservando un punto lontano all'orizzonte, e aggrottò le sopracciglia confuso.

-Perché mai dovresti andartene? Proprio ora che ci siamo riappacificati...-

-Semplicemente perché voglio ricominciare d'accapo e non voglio esserti di peso. Non siamo mai stati una famiglia per venticinque anni, non serve esserlo ora.- spiegò il ragazzo.

-Ah, mi hai spezzato il cuore.-

-Immagino...-

-Forse hai ragione, non siamo fatti per stare insieme.-

-Felice di averlo messo in chiaro.-

I due fratelli scoppiarono a ridere, dicendosi silenziosamente, che si sarebbero guardati le spalle a vicenda che se avrebbero vissuto lontano e che, il loro legame di sangue alla fine aveva vinto. Si erano aiutati a vicenda ed ora, erano insieme a guardare una pallida mattina che fioriva sopra il cielo di Seoul, come una peonia che sbocciava.

Jackson aveva dormito troppo a lungo, la sera prima aveva fatto tardi giocando ai videogiochi ed ora si ritrovava perso in mezzo ai propri vestiti, cercando di indossare qualcosa il più in fretta possibile. Gli altri erano già usciti da un pezzo e nemmeno Mark, il suo compagno di stanza, l'aveva svegliato. Si infilò nei vestiti e poi si precipitò fuori dai dormitori, con i capelli ancora bagnati che gli sgocciolavano sul colletto della maglia. Avrebbe dovuto chiamare l'autista o un taxi, ma decise che avrebbe fatto prima ad andare alla casa discografica a piedi, correndo. Arrivato ai piedi dell'edificio, portò il naso all'insù guardando la terrazza dietro cui le nuvole si stavano radunando soffici. Un persona stava sostando, laddove soleva crogiolarsi al sole lui stesso, per cui, troppo incuriosito da quella strana visione si buttò in ascensore per salire all'ultimo piano. Passo dopo passo, scalino dopo scalino, raggiunse ansimando la porticina che dava sulla terrazza e la spalancò.

My Declared Love [Jackson Wang] Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora