Maghi e babbani

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John Watson, girando verso Hyde Park, aumentò il passo, anche se la ferita alla spalla gli bruciava.
Avanzò comunque, imperterrito, seppur zoppicando, sostenuto dalla fidata stampella.
Nemmeno al San Mungo erano riusciti a guarire del tutto quella ferita: o meglio, l'avevano guarito, ma la cicatrice e molto probabilmente il dolore non sarebbero mai scomparsi.
Non del tutto.
I Guaritori gli avevano addirittura detto che era stato fortunato: non molti Auror potevano sfuggire a una Maledizione Senza Perdono ed essere in grado di raccontarlo.
A parte un certo "bambino sopravvissuto"... Conosciuto anche col nome di Harry Potter.
Ma a lui non era accaduta la medesima cosa: non era stato il mago oscuro più potente di tutti i tempi a cercare di ucciderlo, ma un semplice Mangiamorte in Afghanistan.

Due cose gli avevano salvato la vita, anzi tre: la sua rapidità nello scansarsi, la potenza magica non proprio elevata del suo avversario... e il tempestivo intervento dei Guaritori.
Unito, naturalmente, a una fortuna sfacciata... Sempre che di fortuna si potesse parlare, considerato come si era ridotto.
Dopo la guarigione, aveva preso a lavorare proprio al San Mungo: un lavoro di tutto rispetto, niente da dire. Ma sarebbe stata una menzogna affermare che fosse completamente soddisfatto della vita che conduceva: l'esistenza di un Auror era un continuo oscillare tra la vita e la morte, in lotta contro maghi oscuri, Mangiamorte e altra feccia di quel tipo. Per questo aveva sempre amato quella professione. Il brivido, l'adrenalina... E per colpa di quella stupida ferita aveva dovuto rinunciare a tutto.
Strinse le labbra, soffocando non un gemito, ma la rabbia.

-...John?? John Watson??
Quest'ultimo, sentendosi improvvisamente chiamare, si girò di scatto, e si sorprese non poco, trovandosi davanti a...
-Sono Mike! Mike Stamford! Ricordi??-continuò l'uomo, in tono gioviale.
Sì, John ricordava: era un suo vecchio amico babbano dai tempi del Barts Hospital: vi aveva fatto un veloce internato quando ancora non era convinto di entrare negli Auror, specializzandosi così anche nella medicina Babbana.
Inutile dire che Mike non sapeva assolutamente che lui fosse un mago: non erano amici così intimi da potersi permettere quella confidenza. E poi, preferiva mantenere segreta la cosa, per quanto possibile: la gente tendeva a darti del pazzo, se pronunciavi parole come "mago", "scuola di magia", e "incantesimi" nella stessa frase...
Fu perciò con una certa apprensione che rispose alle domande di Mike circa la ferita alla spalla. Per fortuna, essendo stato in Afghanistan, potè tranquillamente fingere che fosse una semplice ferita di guerra causata da un normalissimo proiettile.

Dopo avergli offerto un caffè e qualche chiacchiera di convenienza, seduti su una panchina del parco, Stamford gli chiese cosa avesse intenzione di fare da quel momento in poi.
John ridacchiò in tono amaro.
-Il mio primo obiettivo è trovare un posto dove vivere. Al momento sto da Harriet...
Stamford sbarrò gli occhi, incredulo: una delle poche cose che John si era concesso di confidargli era il difficile rapporto con la sorella alcolizzata.
-Caspita. Devi essere proprio disperato, allora!-non potè evitare di esclamare l'amico, ridendo appena, e infilando il coltello nella piaga.

Ed è solo la punta dell'iceberg, Mike...
Per un istante, John si perse nei suoi pensieri, gli occhi blu fissi nel vuoto. Eccolo lì: Auror, ancora giovane, ma con la carriera stroncata da quella maledetta zoppia, e che si trascinava un giorno dopo l'altro, in un lavoro che non lo soddisfaceva appieno...
-... Ma forse posso aiutarti.
La voce di Mike lo riscosse dalle sue riflessioni. Si girò verso l'amico, guardandolo interrogativo.
-Conosco un tale, al Barts, che cerca un coinquilino. Ma ti avviso... è un tipo un po' strano...-spiegò lui, con uno strano sorrisino imbarazzato, confondendo il biondo ancora di più, ma stuzzicando la sua curiosità.

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Un tipo un po' strano...

John pensò per l'ennesima volta che quelle parole non rendessero minimamente giustizia all'uomo dai capelli neri ricci e gli occhi di ghiaccio che Mike Stamford gli aveva presentato quel giorno: in pochi secondi e dopo una sola occhiata-e anche grazie al cellulare che gli aveva prestato per un secondo-aveva dedotto tutto di lui, assolutamente tutto, comprese cose di cui neppure lui stesso si era reso conto: per esempio che la sua zoppia fosse solo psicosomatica.
Solo due cose non era riuscito a dedurre sul suo conto: che avesse una sorella, e non un fratello-il nome Harry, diminutivo di Harriet, mandava spesso in confusione la gente-e, grazie al cielo, il fatto che fosse un mago... D'altra parte, come avrebbe potuto?
Probabilmente, per quel poco che aveva visto e capito su di lui, era un tipo scientifico, razionale. Uno di quelli per cui la magia e i maghi erano solo favole per bambini... Comunque, non lo infastidiva l'idea di condividere un appartamento con un babbano: era da tempo, ormai, che usava pochissimo la magia.

Inspiegabilmente, gli tornarono alla memoria i suoi anni ad Hogwarts: non avrebbe mai pensato che sarebbe arrivato un momento della sua vita in cui non avrebbe amato praticare la magia...
Sbuffò, passandosi la mano nei capelli biondi; non era il momento di cadere in ricordi privi di senso. Doveva prepararsi: quella sera alle sette doveva infatti recarsi all'indirizzo che quello strano individuo gli aveva dato prima di uscire dal Barts. Avrebbe iniziato una nuova vita. Una vita del tutto priva di magia.
Ricordava ancora le esatte parole con cui quell'uomo si era congedato:

"Il mio nome è Sherlock Holmes, e l'indirizzo è il 221B di Baker Street".

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Sherlock sbuffò, passandosi una mano nei ricci corvini, in quel momento madidi di sudore: quei maledetti scatoloni era pesantissimi!
Forse avrebbe dovuto chiedere aiuto a qualche traslocatore.

Oppure...

Si guardò intorno, circospetto: erano le otto del mattino, e in quel momento per strada non stava passando nessuno...
Estrasse velocemente la bacchetta, e con un semplice incantesimo levitante portò i due ultimi scatoloni al piano superiore del 221B.
Proprio in quel momento, però, stava scendendo le scale la signora Hudson, con un giornale in mano, che cacciò un gridolino, quando se li trovò improvvisamente davanti.
-Sherlock!! Poteva almeno avvisarmi!-disse, sospirando e portandosi una mano sul cuore.-E poi, è impazzito?? Praticare la magia in pieno giorno!! E se l'avesse vista qualcuno??
L'uomo emise uno sbuffo risentito.
-Non anche lei, signora Hudson, la prego! Mi sembra quasi di sentire mio fratello!-protestò, continuando a condurre gli scatoloni al piano superiore, incurante delle proteste della donna.-E poi, si rilassi: da stasera, non potrò più praticare la magia.

La donna spalancò gli occhi, sorpresa.
-Vuol dire che l'uomo che verrà a vivere qui è un babbano?
-Esatto-replicò Sherlock, voltandosi a guardarla.-Non è un problema per lei, vero?
-Certo che no, caro!-replicò la donna, sorridendo.-Dopotutto, io sono una nata babbana, perchè dovrei avere problemi? Farò magie solo quando non sarà in casa. Tanto le pulizie le svolgo senza da anni, ormai!
Sherlock scosse la testa con un piccolo sorriso; quella donna era incredibile: pur sapendo compiere perfettamente incantesimi, preferiva svolgere le pulizie come una normale babbana.
Diceva che il lavoro manuale le impediva di impigrirsi e che la teneva sempre attiva. Ed era uno dei motivi per cui Sherlock la ammirava.
-Che mi dice di quei suicidi, Sherlock?-domandò improvvisamente la donna, leggendo il giornale con un pizzico di apprensione nella voce, e seguendolo al piano di sopra.-Crede che potrebbe essere opera di un mago? Ne ha parlato persino la Gazzetta del Profeta...
-È possibile...-ammise il corvino, pensieroso, mentre con delicatezza faceva fluttuare finalmente a terra gli scatoloni.-Ma sento che c'è qualcosa che mi sfugge: soprattutto il fatto della bacchetta magica spezzata. Le impronte trovate su ognuna di esse sono sempre e solo quelle delle vittime: questo significa che o sono stati loro stessi a romperle, o che l'assassino ha usato dei guanti. Ma il perché l'abbia fatto mi è ancora oscuro... e soprattutto come faccia a convincere le vittime a seguirlo... forse con la Maledizione Imperius... ma come mai nessuno se ne è accorto??

La signora Hudson scosse il capo.
-Non c'è che dire, è proprio un bel rompicapo. Ma sono certa che lei troverà la soluzione, caro. Ci riesce sempre-lo confortò, carezzandolo sulla spalla con fare materno, e Sherlock si ritrovò a sorridere, di fronte a quel gesto.- Le preparo un té.
Mentre la donna scendeva nuovamente al piano inferiore, il detective iniziò, con pochissima voglia, a riordinare qui e là nell'appartamento già pieno dei suoi effetti personali: ma, dopo poco, già stufo, crollò in una delle poltrone poste davanti al caminetto, immergendosi nei suoi pensieri, gli occhi azzurro ghiaccio persi nel vuoto.

Prima o poi questo serial killer commetterà un errore.
E io sarò lì ad aspettarlo...

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