CHLOE
Dovevo nascere in un'altra epoca io, e in un altro paese. In piena Beat generation o, subito dopo, negli anni Sessanta. Magari in America, ad Haight Ashbury, il quartiere hippy di San Francisco. Mi immagino mentre cammino tra le strade illuminate da luci psichedeliche, ascoltando She Loves You dei Beatles. Sarei stata assolutamente perfetta, con le mie idee sulla pace nel mondo e la mia concezione anticonvenzionale della vita. Io, femminista incallita e amante della pop art, devo accontentarmi di vivere a Londra, in un'era fatta di guerre e contraddizioni, dove cercare di essere diversi equivale a una condanna a morte, almeno nella mia famiglia -d'impronta rigorosamente matriarcale- ovviamente.
La vedo in lontananza, spuntare dal terreno umido. Una lapide di granito bianco, consumata dalle piogge e dal sole di tutti questi anni. Qualche ciuffo d'erba ai lati del vialetto si muove piegato dal vento, il cielo, con le nuvole plumbee che lo ricoprono, sembra volermi accogliere in questo luogo immerso nella malinconia e nell'odore acre di fiori appassiti.
Ma io non sono mai malinconica, neppure quando vengo qui. La mestizia è uno stato d'animo che non mi si addice.
«Ciao, Luke» mormoro, e la voce mi esce fuori un po' stridula per l'emozione. Poso un fiore nel vaso già pieno di germogli prosperosi e colorati. Mia madre è maniacale per queste cose, anche in un cimitero; l'apparenza lei la considera una virtù. «In un luogo sacro è un dovere mostrare cura per i propri defunti» dice sempre, ogni volta che le faccio notare quanto sia fuori luogo continuare a ingolfare di bouquet il vaso di una lapide.
«Ci sono riuscita, Luke. Te l'avevo detto che avrei fatto qualsiasi cosa in tua memoria. Hanno scelto me, hanno scelto me!»
Quasi ho le lacrime agli occhi al pensiero che, a volte, i sogni si realizzano; che i sacrifici di una vita vengono ripagati e ti restituiscono tutta la fatica accumulata per anni.
Mi inginocchio sul terriccio appiccicoso, allungo la mano verso il rettangolo di granito e chiudo gli occhi, provando a rivivere nella mente i ricordi dell'infanzia.
Luke, come il nome dell'apostolo.
Luke, come il santo patrono dei medici.
Che destino beffardo regala la vita. Io medico lo sono diventata, lui non è arrivato neppure all'adolescenza.
Un lieve trillo si irradia dalla mia borsa, sospiro irritata dal suono che sta interferendo con questo istante di intimo affetto tra me e mio fratello.
«Pronto» rispondo senza neanche guardare chi è a chiamarmi.
«Elizabeth, buongiorno. Dove sei?» il tono stridulo, esigente e impostato di mia madre.
«Puoi chiamarmi Chloe, cortesemente?»
Chloe è il mio primo nome –in memoria della mia amata nonna-, seguito da Elizabeth, senza virgola. E quella virgola mancata è una condanna.
Chloe Elizabeth, orribile.
Tanto più che mia madre mi chiama solo Elizabeth; e non è un caso che veneri la regina Elisabetta tanto quanto Gesù Cristo.
«Smettila con queste sciocchezze. Torna tuo fratello da Miami, domani sera faremo una riunione di famiglia. Ho prenotato in un ristorante.»
Alzo gli occhi al cielo. Odio le cene di famiglia, soprattutto quelle condite da una dose eccessiva di ipocrisia e apparenza.
«Elizab...»
La interrompo subito. «Sì, va bene. Ci sarò.»
«Vestiti decentemente. Non presentarti come sai fare tu.»
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Ridammi indietro il cuore
RomanceFlavio è un medico genetista di Milano in trasferta a Londra per un dottorato di ricerca finanziato dalla Kingstone University. Ha una fidanzata e un matrimonio alle porte. Chloe è una dottoressa fresca di laurea, scelta dall'università per entrare...