Capitolo 5

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CHLOE

Incontro la mia acerrima nemica nell'atrio del dipartimento di genetica. Emily Moore è vestita di tutto punto, neanche debba partecipare alle première degli Oscar.

«Buongiorno Elizabeth» mi dice con la sua solita arietta bon ton. «Emozionata di conoscere la squadra?» continua gingillandosi con i braccialetti che le adornano il polso.

«Abbastanza.»

«Si vocifera che il dottor Solina sia un tipo molto stimolante» ammicca sperando di attirare il cento per cento della mia attenzione. Ma io resto sul vago. Emily considererebbe stimolante anche un idiota se quell'idiota avesse la facoltà di spalancarle le porte dell'olimpo dei medici. Non ha ancora capito che il nostro mestiere non è uno Status Symbol, ma un lavoro vero e proprio.

«Ho saputo che anche quest'anno tuo padre ha finanziato il dipartimento di genetica. Molto generoso da parte sua, non credi?»

So che questa rappresenta una chiara allusione alla mia presenza in squadra, e questo tipo di insinuazione mi manda letteralmente fuori di testa.

«Mio padre finanzia il dipartimento di genetica da vent'anni, Emily. Dovrai abituarti alla sua generosità ancora per molti tempo avvenire.»

"Non è certo merito dei soldi di Paul Mac Lean se sono stata convocata per partecipare al dottorato" vorrei aggiungere, ma preferisco tacere per non mettere altra cenere al fuoco. Il mio commento zittisce all'istante la vipera travestita da angelo che ho di fronte, è risaputo che Emily Moore è una pettegola patentata.

Ci dirigiamo verso l'ascensore e in pochi secondi raggiungiamo l'ufficio del professor Milligan, bussiamo e veniamo ricevuti dalla sua segretaria che ci invita ad accomodarci. Sono arrivata in netto anticipo rispetto ai programmi, ma la puntualità è un'abitudine a cui sono stata abituata fin da piccola, quando rispettare gli orari del pranzo, della cena, dello sport, dell'ora di musica erano per me un vero martirio. In verità sono cresciuta temendo che in età adulta avrei finito per oppormi involontariamente a tanto rigore. Invece no.

Trascorriamo quasi venti minuti immerse in un silenzio glaciale, preludio di una collaborazione lavorativa – tra me ed Emily − davvero poco entusiasmante. La porta dell'ufficio si apre dieci minuti prima dell'orario stabilito, il professor Milligan entra in tutta la sua magnificenza, seguito da altri tre ricercatori del dottorato. Vengono fatte le presentazioni e, contro ogni probabilità, ho la sensazione che siano tutti simpatici.

Lauren, l'unica ricercatrice femmina oltre me ed Emily, ha un sorriso dolce e affabile e le spalle perennemente chiuse sono il riflesso della sua timidezza. Poi c'è Brody, un biologo di Boston referenziato fino all'inverosimile e dall'aspetto impacciato, si capisce che il laboratorio è davvero l'unico habitat al quale è abituato. Infine, incontro gli occhi nocciola di John, un aitante specializzando all'ultimo anno, riccioli castani, fisico atletico e sorriso malizioso. E io ci sguazzo nei tipi come lui.

Dopo le presentazioni decidiamo di posizionarci in fila, uno accanto all'altro, come tanti piccoli soldatini e quando si sentono tre decisi colpi di nocche dietro la porta, capiamo che il tanto atteso Italian Doctor è arrivato.

Credo di non aver mai assunto una faccia inebetita quanto quella che ho ora. Ho sempre conosciuto ricercatori che avevano perso, capello dopo capello, tutta la loro folta chioma chini sul microscopio. Ho sempre conosciuto ricercatori dalla stazza appesantita dal cibo spazzatura delle pause pranzo e, soprattutto, ho sempre conosciuto ricercatori dall'aspetto trasandato di chi è troppo impegnato nel proprio lavoro. D'accordo, devo ricredermi subito. Ora. Immediatamente.

Ridammi indietro il cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora