6 *inedito

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Londra, ventidue anni prima.

Profumava di legno, muschio ed erba bagnata. L'inverno aveva un odore caratteristico che si mimetizzava nell'aria dissolvendosi a ogni folata di vento, eppure a me pareva di raccoglierlo tutto nelle narici e assimilarlo a ogni boccata d'ossigeno respirata.

Era una giornata uggiosa, le nuvole sembravano rincorrersi nel cielo in una strana danza, percepii in quei movimenti accelerati l'arrivo dell'ennesimo acquazzone. Dovevo sbrigarmi a recuperare tutti i soldatini disseminati nel prato, anche quella mattina avevo disubbidito al desiderio disperato di mia madre di vedermi giocare con qualcosa di simile a una bambola. Diceva che somigliavo più a un maschietto impertinente che a una bimba ubbidiente e amorevole.

Correvo da una parte all'altra del giardino con una scomoda mantella di lana, degli scarponcini troppo eleganti per sporcarsi di terra umida e un abbigliamento adeguato a una merenda tra altezzose bimbette aristocratiche. Io, però, già allora ero diversa dalle mie coetanee, preferivo impiastricciarmi le ginocchia nel fitto manto erboso della tenuta rincorrendo il vecchio cane Fester e giocando con i soldatini di Luke.

Quella mattina mio fratello non era uscito dalla sua stanza e neppure il giorno prima, e neanche quello prima ancora.

«Ha la febbre» aveva detto Evelyn, la mia tata.

Luke aveva spesso la febbre, non poteva uscire a giocare all'aperto, non poteva correre come tutti i bambini della sua età ed era costretto a prendere sciroppi dall'aspetto denso e disgustoso e "confetti magici", Evelyn soprannominava così i farmaci di mio fratello ogni volta che le chiedevo a cosa servissero. All'epoca mi sembrava quasi che Luke fosse simile a una di quelle Étoile di cristallo che mia madre collezionava, tanto belle quanto intoccabili e fragili.

Era sabato mattina e la giornata era iniziata con un via vai esagerato in casa, e sebbene la villa fosse enorme, ecco, quella fredda mattina di dicembre a me sembrò essersi rimpicciolita a tal punto da non riuscire a contenere più tanto movimento.

«Ehi, Chloe!»

Una voce mi sorprese alle spalle proprio nell'istante in cui mi accingevo a recuperare l'ultimo soldatino incastrato in mezzo alla siepe.

«Buongiorno dottor Scott» salutai il medico di mio fratello con un sorriso che mostrava un buchino tra i miei denti. «Luke sta ancora male, vero?» chiesi con l'innocenza che solo una bambina di sei anni può avere.

«Temo di sì, tesoro» rispose lui aggrottando la fronte. Un attimo dopo era diretto verso il portone con la sua valigetta stretta in mano.

Alzai il viso all'insù, chiusi gli occhi ed espressi un desiderio. «Babbo Natale, non voglio regali sotto l'albero. Fa' che Luke guarisca presto.»

Qualche minuto dopo dal vialetto d'entrata comparve l'auto di mio padre. La riconobbi subito perché era lunga, nera e così lucida che ti ci potevi specchiare. Quando Paul McLean scese, gli corsi incontro a braccia aperte, lui mi sollevò in aria riempendomi di baci. Lo guardai in viso e non mi sfuggì il fatto che avesse uno sguardo diverso che non riuscii a decifrare. Chiamò a gran voce Evelyn mentre dal cielo iniziavano a cadere le prime gocce di pioggia.

«Chloe, va' a fare merenda. Tra poco arriverà anche Matt» mi disse Evelyn una volta uscita fuori.

«Perché papà è tornato tanto presto?» le chiesi ingenuamente.

Lei si sfregò la punta del naso, poi mi abbracciò. «Andiamo» mi esortò con dolcezza senza rispondere alla mia domanda.

Lady Mary Anne comparve in cucina mentre ero impegnata a gustare dei deliziosi biscotti, aveva il volto teso e mi parve di scorgere un insolito rossore nei suoi occhi. Si muoveva smaniosamente, spostando tutti gli oggetti che riteneva essere "fuori dal loro posto". L'ossessione per l'ordine era intrinseco in lei tanto quanto la religiosità, che negli ultimi tempi, poi, sembrava essersi accentuata. Afferrò il canovaccio posato sul bancone e lo piegò più volte prima di posarlo in un angolo, avvicinò le sedie al tavolo e lasciò scivolare il polpastrello sulla pelle che ne ricopriva le spalliere. A mente sapevo già quale sarebbe stata la mossa successiva, avrebbe osservato con minuzia il dito alla ricerca del più microscopico granello di polvere.

«Mamma, come sta Luke?» la mia voce la raggiunse facendola sussultare.

«Non molto bene, Elizabeth» disse con tono stridulo e concitato.

«Posso vederlo?» chiesi insistendo quel tanto da farla irrigidire come un fil di ferro.

«No.» Fu la sua risposta secca, asettica.

Prese un bicchiere dalla dispensa e lo riempì di acqua. Bevve piano con lo sguardo perso. Sembrava osservasse qualcosa, ma di fatto non c'era nulla di interessante da vedere a parte il frigorifero di fronte a lei.

Si avvicinò a me, raccolse in una mano un po' di briciole sparpagliate sul tavolo. «Sta' più attenta quando mangi i biscotti» mi rimproverò.

Io addentai un altro quadratino di pastafrolla e le sorrisi, allungai la mano sul cardigan che indossava, mi ci appesi stringendolo lievemente con la mano.

Era giallo canarino e soffice, incredibilmente soffice.

«Ti voglio bene mamma» le dissi un attimo prima che lei si allontanasse.

Quel giorno non la vidi più, però la sentii piangere dalla stanza di Luke e il giorno dopo mio fratello non era più con noi.

Babbo Natale non avrebbe potuto esaudire la mia richiesta.


Ridammi indietro il cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora