Capitolo 24

2.5K 99 11
                                    

CHLOE

Il chiarore è davanti a me, un altro passo, uno solo, e il mio corpo si fonderà con quell'esplosione di luce e pace incontaminata. Sto vivendo una sensazione mai provata prima.

Mi volto e vedo l'oscurità allontanarsi progressivamente, alzo lo sguardo e allungo la mano, il bagliore sembra risucchiarmi dentro, allora ritraggo il braccio e provo una leggera incertezza. Mi sento come un pixel che è lì per deframmentarsi. Il richiamo etereo, però, è irresistibile.

Chiudo gli occhi e lascio che il corpo decida per me, abbandonerò il grigiore in cambio di una luce sconfinata. Muovo un piede in avanti e un gradevole tepore mi convince che è proprio quella la strada da percorrere. Energia liquida mi inonda il viso.

«Torna da me, Chloe.»

Una voce riecheggia alle mie spalle mentre sono a un passo dalla fusione con la dimensione a cui tutti aspirano. Voglio ignorarla, ma fallisco. Un passo indietro, il freddo lo sento di nuovo sulla pelle dopo una quantità indefinita di tempo passata a non percepire nulla.

«Chloe, non lasciarmi anche tu. Non punirmi in questo modo.»

Mia madre. È la voce di mia madre.

La prima cosa che avverto dopo aver aperto gli occhi, è la sensazione di bagnato che le lacrime lasciano sulla pelle.

Sono tornata alla vita, dopo essere stata da qualche altra parte per chissà quanto tempo.

Tre mesi dal risveglio. Dopo l'uscita dal coma ti senti come una che ha appena effettuato un passaggio di stato, nel mio caso dallo stato fisico a quello evanescente e viceversa.

Fu una cosa strana svegliarsi e non riuscire ad avere il controllo del corpo. Mi chiesi se non avessi più le gambe, perché non le sentivo attaccate a tutto il resto, in verità ero completamente dissociata nella testa e nel fisico.

È l'effetto collaterale del risveglio?

Ma la domanda me la feci solo nella testa perché non potevo parlare. Non mi uscivano le parole, riuscivo a pensare, ma il cervello non comunicava con la bocca.

Spalancai gli occhi in preda al panico e quando, lentamente, girai la testa, incrociai gli occhi di Mary Anne. Erano rossi e gonfi, la pelle del viso sembrava essere invecchiata di colpo. Però, rideva. Non un sorriso cattivo, no. Rideva di felicità, con la bocca impastata e le labbra talmente secce che non riuscivano a staccarsi.

Era la prima volta che mia madre mi rideva così e ne fui sollevata, tuttavia, qualche giorno dopo, quando le mie condizioni sembrarono essere lievemente migliorate, mi convinsi che, dopotutto, era ovvio che mia madre ridesse di gioia. Io ero viva e per quanto una mamma e una figlia possano odiarsi, nessuna delle due desidererebbe mai la morte dell'altra.

Questa riflessione mi strappò un gemito. Desideravo che lei avesse pregato per il mio ritorno come aveva fatto al capezzale di Luke prima che mio fratello se ne andasse. Avevo un disperato bisogno di credere che a qualcuno sarei mancata tanto e più di tutti a lei, alla mia algida mamma.

La riabilitazione durò molto. Mentalmente ero perfetta, le mie attività cognitive erano quelle di sempre. Fisicamente ero un rottame. Fratture multiple che mi costrinsero all'immobilità per molto più tempo di quanto pensassi e quella lesione alla spina dorsale che, pur nella sua reversibilità, ancora oggi non mi permette di avere il pieno controllo dei movimenti.

Il fisioterapista dice che i muscoli dovranno riabituarsi a lavorare piano piano e fino a che il mio corpo non sarà in grado di ripristinare le funzionalità al cento per cento, continuerò a vegetare sulla sedia a rotelle in una casa in cui odio stare, con una madre che finge di essere accomodante solo perché non esserlo rischierebbe di peggiorare il mio quadro clinico.

«Chloe, nel pomeriggio verrà a trovarti il professor Milligan.» Mia madre è appena entrata in stanza per aprire le finestre. «L'aria è viziata qui dentro» dice.

Io mi giro dall'altra parte, che lo accetti o no, mi sto trasformando in qualcosa di molto simile a un vampiro. Odio il mondo fuori e io chiusa qui dentro. Odio che mi venga a trovare il professor Milligan e mi ricordi, senza dirmelo chiaramente, che la mia carriera da ricercatrice, almeno per quest'anno, andrà a puttane. Detesto pensare che la causa del mio attuale stato risieda in quella stupida discussione avuta con quella stupida persona del dottor Solina.

Questo incidente ha tirato fuori il lato oscuro che non credevo di avere.

«Andiamo, Chloe.»

«Andiamo dove?» chiedo infastidita mentre Lady Mary Anne spinge la carrozzella fuori dalla stanza.

«A fare un giro fuori.»

«Non ne ho voglia.» Con le mani blocco le ruote. «E comunque, le mani riesco ancora a muoverle, se ho voglia di uscire ci penso da sola» borbotto.

Non saranno le sue moine da mamma improvvisamente premurosa a farmi dimenticare il passato, non si può negare l'affetto per una vita e poi, all'improvviso, rimediare come se nulla fosse. Non funziona. Non con me.

Prendo il controllo della sedia a rotelle e me ne torno in camera.

Nel pomeriggio si presenta il professor Milligan.

«Ciao, Chloe! Allora, come ti senti?» esordisce.

«Come una che non può fare nulla. Essere persone dinamiche è uno svantaggio in certe circostanze.»

Mia madre non si fa certo desiderare, e con la scusa di servire una tazza di tè, ci costringe alla sua presenza.

«Chloe, ho parlato con il dottor Solina. Insomma, mi ha raccontato dei vostri attriti e... be', mi ha detto anche della tua lettera di dimissioni.»

Abbozzo un'espressione di ovvietà prima di pronunciare: «Devo ammettere che è stato piuttosto lento a parlarle di una decisione presa tre mesi fa, professor Milligan». Dal mio tono trapela solo indifferenza.

«Oh, Chloe, in verità questa cosa mi è stata detta subito dopo l'incidente. Sono io a non averne mai parlato con te perché aspettavo che ti riprendessi, che superassi gli ostacoli della convalescenza.»

«Cosa sta cercando di dirmi, professore?»

«Lei sarà libera di non crederci, ma il dottor Solina è terribilmente dispiaciuto per ciò che è accaduto.»

«Il dispiacere non credo sia sufficiente, e comunque non ha bisogno del mio "perdono" per vivere. Gli può dire che se tornassi indietro, farei esattamente la stessa cosa, cioè dare le dimissioni!»

In questo frangente ne approfitto per raccontare al professore tutto ciò che successe tre mesi fa, lui non sembra sorpreso e sostiene che Flavio non gli abbia nascosto nulla di ciò che io sto ammettendo.

Quando va via, mi prega di riconsiderare la mia posizione per il futuro. Non potrò partecipare più al dottorato di cui mi occupavo, non per le mie dimissioni, s'intende, quanto per la mia assenza prolungata a causa della convalescenza. La sua promessa è quella di inserire la mia candidatura in altri progetti interni alla facoltà. Lo ringrazio pur consapevole che la Chloe, quella di prima, è morta tre mesi fa e ha lasciato in vita una copia apatica di quella vecchia.

Ridammi indietro il cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora