Capitolo 20

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CHLOE

Non capisco in quale maniera e con quale forza io stia riuscendo a trattenere le lacrime. Le sento pungere come una miriade di spilli mentre passo a setaccio gli sguardi di tutti i presenti.

Lauren sembra sconvolta, John ha la faccia di chi farebbe qualsiasi cosa pur di aiutarmi, Brody finge di non dar peso all'accaduto e torna a sistemare il suo piano di lavoro. E poi c'è lei, la perfida strega Emily che sorride paga per aver gonfiato la sua sciocca vanità con l'umiliazione di una collega.

In silenzio mi tolgo il camice, lo sistemo sull'appendiabiti accanto alla porta, prendo la mia borsa ed esco dal laboratorio. Con calma metto un piede avanti all'altro e attraverso il corridoio mentre sento alle mie spalle la voce di John.

«Chloe, aspettami» dice.

«John, davvero, non è il momento.»

Lui mi posa una mano sul braccio e mi trattiene invitandomi a seguirlo verso il cortile esterno.

Ci sediamo sulla panchina, io resto a fissare un punto non identificato dritto davanti a me mentre qualche lacrima mi imperla le guance.

«Si può sapere che diavolo hai combinato?» mi chiede John provando ad asciugarmi il viso.

Io, però, mi scosto. Non sopporto di essere umiliata o compatita, in vita mia sono sempre riuscita a gestire le situazioni scomode e in tanti anni di università non mi è mai capitato di dover ricevere un trattamento simile a quello che il dottor Solina mi ha riservato.

«Mi si è rotto il pc, ieri sera ho lasciato Ethan, il mio ragazzo, e lui, in un momento di rabbia, me lo ha scaraventato a terra. Avevo salvato i file solo sulla memoria del computer e ora non so se il genio dell'informatica a cui l'ho portato riuscirà a recuperare tutto» pronuncio senza scollare gli occhi dall'asfalto grigio.

«Sì, d'accordo, ma è assurdo che il Doc abbia reagito così. C'è qualcosa che non so?»

"Sì, John, un bacio scroccato per sbaglio al Mid Season Party che mi ha fatto passare per una sgualdrina che vuole sedurre il suo superiore". Questa è la frase che mi frulla per la testa, ma non posso di certo ammetterla a voce alta e rischiare di compromettere ancora di più la mia, già precaria, situazione.

«Dai, andiamo a mangiare qualcosa» mi propone lui tirandomi per un braccio.

«Non ho fame.»

«Smettila di fare la smidollata, non è da te, credi che io non abbia capito che sei una tipa cazzuta?!»

Mi scappa una mezza risata, a dirla tutta è più una smorfia deforme, ma John sembra apprezzare comunque il mio sforzo.

Ci alziamo dirigendoci verso la mensa destinata al personale.

Afferro un vassoio e ci poggio sopra un piatto di insalata e uno strano intruglio di carne che non riuscirò a mangiare, sono troppo agitata e ho lo stomaco chiuso.

Prendiamo posto al centro della sala e solo dopo esserci accomodati, mi accorgo che Emily è a pochi metri da noi, seduta di spalle al tavolo successivo al nostro. È con un'altra donna e parlotta come la migliore delle pettegole, se esistesse un premio per le malelingue, Emily si aggiudicherebbe la medaglia d'oro.

Porto alla bocca una foglia di insalata mentre John mi racconta qualche aneddoto divertente che avrebbe il compito di stemperare il mio malumore; d'un tratto le mie orecchie captano una frase scomoda e infinitamente triste.

«Be' se l'è cercata, si mette a fare la hippy in giro per Londra e poi pretende che le persone la prendano sul serio?» È Emily a parlare con l'arietta snob e insopportabile che è parte di lei tanto quanto gli accessori griffati che si appende addosso pur di darsi un tono.

Faccio cenno a John di stare zitto e con l'indice indico la schiena di Emily.

«E poi, diciamocela tutta, tu credi che se non avesse il papino che sgancia fior di quattrini ogni anno per finanziare la ricerca, Chloe McLean sarebbe arrivata fin qui?» Segue una risata stridula che ha su di me l'effetto di una sberla.

«È solo una raccomandata borghese che, tra l'altro, neanche riesce a sembrare così borghese...»

A questo punto non resisto più. Non riesco a trattenere l'istinto collerico che mi si è condensato nello stomaco, nel cuore, nella gola. Mi è rimasto un ultimo briciolo di dignità e voglio usarlo per difendere me stessa. Mi alzo di scatto e l'acciaio dei piedi della sedia sembra conficcarsi nelle mattonelle del pavimento, il suono metallico che ne esce è sgradevole e simile alle unghie che graffiano una lavagna. John capisce che è troppo tardi per fermarmi, Emily, invece, si volta e incontra i miei occhi.

Afferrò il bicchiere pieno di Coca Cola e mi rinfresco la bocca prima di avvicinarmi a lei e parlare.

«Io sarò pure una raccomandata borghese, ma tu sei una miserabile pettegola. Va' al diavolo Emily Moore!»

Le rovescio addosso la restante parte della bevanda che stringo tra le mani e la strega resta con la bocca spalancata a uggiolare come un cagnolino disperato.

«Ti consiglio di andare a lavare anche la tua sciccosa camicetta prima che la macchia si asciughi. Ah, un'altra cosa, Emily, oltre alla tua orrenda camicetta dai anche una bella sciacquata alla bocca, visto che è strabordante di sterco!»

A questo punto metà dei presenti è girato verso di noi a gustarsi la scena, la cosa peggiore, però, è spostare lo sguardo e incrociare gli occhi allibiti di uno spettatore che avrei voluto evitare, il dottor Solina.

Abbandono la mensa immediatamente e vado a nascondermi nell'aula dove seguirò per tre ore un seminario.

Medito sul da farsi per l'intera durata della lezione e mi si affaccia in testa una possibilità che, al momento, mi sembra l'unica via di uscita da questa insopportabile situazione.

Al termine delle tre ore risistemo il block notes in borsa e mi incammino verso l'esterno del campus. Le chiavi della moto mi ciondolano dal taschino della giacca; salgo sulla sella, metto in moto e parto verso l'unica meta in grado di donarmi un po' di sollievo da questa giornata orribile.

Quando raggiungo il cimitero il sole sta tramontando, spingo il cancelletto d'entrata e cammino fino alla lapide di Luke. Mi inginocchio e l'umidità del terreno la sento penetrare oltre lo strato di jeans. Non riesco a trattenere le lacrime, mi sento sconfitta. Sconfitta dalle mie scelte e dalla strada che ho deciso di intraprendere. So che basterebbe una telefonata a mio padre per rimettere le cose a posto, l'intercessione di Paul Mc Lean mi permetterebbe di ottenere un po' di giustizia e mettere a tacere tanti pettegolezzi, tuttavia so che il percorso più semplice non sarei comunque stata in grado di intraprenderlo. Fino a ora non ho mai approfittato di favoritismi da parte di nessuno, quello che ho costruito è solo merito mio. Se ho commesso un errore, se non sono riuscita a mostrarmi per ciò che realmente valgo, è solo mia la responsabilità. Dovrò imparare dai miei errori e fare un passo indietro se necessario. Questo è il momento per indietreggiare un po', prendere le distanze e con umiltà ammettere la sconfitta.

Mi copro il volto con le mani e non riesco a trattenere i singhiozzi, sono come lamenti lenti e dolorosi.

«Luke, ti chiedo perdono» riesco a pronunciare a stento.

Una volta ripreso il controllo del mio corpo e delle mie emozioni, prendo il cellulare e compongo il numero di Alex.

«Zuccherino, allora, com'è andata?»

«Alex, ho bisogno del tuo pc. Posso passare da te?»

Ridammi indietro il cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora