Capitolo 17

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Terzo capitolo per questa settimana, un regalo per ringraziarvi dell'attesa.

FLAVIO


Riempio un bagaglio a mano. Questo pomeriggio tornerò a Verona per trovare i miei genitori. Loro si aspettano il mio arrivo in compagnia di Giuditta e so per certo che mia madre rischierà l'infarto una volta appresa la notizia del matrimonio saltato.

Mio fratello si farà una risata, burlandosi di me in silenzio.

Mio padre rimarrà seduto sulla poltrona con la sua espressione imperturbabile, poi mi guarderà con gli occhi di chi conosce i limiti del proprio figlio. "L'amore è il tuo limite", questo mi dirà, ne sono certo.

In questo lungo mese ho cercato in tutti i modi di raccogliere le giuste parole per edulcorare la notizia, e quando ero lì per confessare tutto, mi bloccavo, non ci riuscivo e allora rimandavo.

Ora non posso più farlo, siamo a metà maggio e negare l'evidenza sarebbe una presa in giro verso me stesso e una mancanza di rispetto verso la mia famiglia.

Raggiungo casa che è quasi ora di cena, pago la corsa del taxi e suono il campanello con un lieve tremolio delle dita. Dalla porta vedo affacciarsi Andrea, mio fratello.

Un suono metallico mi avvisa che è arrivato il momento di varcare la soglia e affrontare la realtà. Non c'è nulla di male nell'aver evitato un matrimonio disastroso. Perché il mio lo sarebbe stato, no?

Mia madre è lì, di schiena, che mescola la pasta. Si volta, asciuga le mani sul grembiule e quando alza la testa noto un blando senso di smarrimento nei suoi occhi.

«Flavio, tesoro.» Viene ad abbracciarmi, le sue labbra sfiorano la mia guancia, poi gli occhi di Lucrezia tornano dritti nei miei. «Giuditta?» chiede con una sottile vena di ansia.

«Non c'è» rispondo col tono di voce che sa di arido, di rancido.

Mi giro e interrompo il contatto dei miei occhi con quelli di mia madre, la stretta delle mie dita sul manico del trolley si fa più intensa, diventa quasi dolorosa. Mi sfugge un gemito per la fitta alle falangi o per la scossa che sento nel petto.

«Come non c'è?» domanda venendomi dietro.

Mio padre si alza dalla poltrona, sposta lo sguardo su di me, credo abbia già capito che la questione è delicata, che non si tratta di un litigio passeggero, che non c'è di mezzo un'influenza o un impegno improvviso. Giuditta non c'è ora e non ci sarà dopo.

Posiziono il mio bagaglio in un angolo della stanza, tolgo la giacca e la sistemo sull'appendiabiti.

«Ci siamo lasciati» pronuncio lapidario.

Andrea ora è davanti a me con gli occhi sbarrati. Viola ci ha appena raggiunti in soggiorno e il Mario Bros di Filippo le è appena caduto dalle mani. Mio nipote corre a salutarmi.

«In che senso vi siete lasciati, Flavio?» chiede mia madre.

«Non stiamo più insieme, il matrimonio è ufficialmente annullato e ora non mi va di parlarne» sputo io afferrando di nuovo la valigia e dirigendomi verso la mia camera.

«Flavio, non essere precipitoso, le incomprensioni possono esserci...» interviene Viola.

La sua voce mi raggiunge come in una cassa di risonanza, il suo tono calmo lo trovo irritante. Mi blocco a metà corridoio, giro la testa verso di lei, credo di fulminarla con lo sguardo mentre pronuncio solennemente: «Non si tratta di una stupida incomprensione, Viola.»

Ridammi indietro il cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora