EPILOGO

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Da piccola, quando mi chiedevano quale fosse il mio sogno nel cassetto, contrariamente a tutte le mie amichette che sognavano di sposarsi e vivere in un castello incantato insieme al loro principe, io rispondevo sempre che desideravo una vita come quella dei miei genitori.

Tutti mi dicevano che, per essere una bambina, avevo la capacità di ragionare lucidamente, quasi come un'adulta.

Io lo prendevo quasi sempre come un complimento, perché a dirla tutta, mi sono sempre sentita un po più matura rispetto alla mie coetanee.

Dico "quasi sempre", perché in alcuni casi, le persone che mi etichettavano in quel modo, lo facevano per offendermi.

Sostenevano che io non avessi abbastanza immaginazione, che ero troppo giudiziosa per la mia età, sempre troppo seria e posata.

Ma non era assolutamente vero.
Ero molto allegra e piena di vitalità da bambina, odiavo i musi lunghi e se incontravo qualche altro bambino della mia età, doveva a tutti costi diventare mio amico.
L'unica differenza con i miei coetanei, era che io riuscivo a distinguere i contesti in cui poter essere tutto ciò e quelli in cui era necessario darsi un contegno.

Ma, soprattutto per i genitori delle mie compagne, questa era una cosa strana, "innaturale" dicevano.

Come se l'essere semplicemente educata fosse una cosa di cui vergognarsi.

- Non dare peso a queste sciocchezze Ellie - mi ripeteva sempre mia mamma.
- Lo dicono solo per buttarti giù, perché purtroppo non tutte le persone sono buone e gentili.
Alcune hanno bisogno di sminuirti, perché è l'unico modo che hanno per sentirsi superiori.
Sono una brutta categoria gli invidiosi, tesoro -

Io le davo ascolto, anche se, la notte, quando non riuscivo a prendere sonno, tutti quei mormorii mi ronzavano in testa, facendomi credere che avessi davvero qualcosa che non andava.

Crescendo, quando iniziarono a chiedermi quale fosse la mia aspirazione nella vita, propinandomi lo stesso identico concetto, formulato in maniera diversa, io rispondevo semplicemente: "Voglio essere felice".

Che sostanzialmente era la stessa risposta che davo alle maestre, all'asilo, solo più generica.

Di solito, chi mi faceva quella domanda, rimaneva un attimo spiazzato, aspettandosi invece di sentirmi dire che volessi diventare un medico per alleviare la sofferenza degli infermi, come tutte le ragazzine che, avendo appena varcato la soglia dell'adolescenza, si immaginavano eroine e protagoniste delle loro stesse vite.

Ma anche in quel caso, si sbagliavano.

Adesso, a distanza di almeno 15 anni, posso dire che ero una ragazzina un po' incosciente.

Dare una riposata del genere, a quell'età, voleva dire guadagnarsi immediatamente il marchio di "strana", e sappiamo tutti quanto sia importante l'apparire a 13/14 anni.

Ma io di modularmi alla massa, non sono mai stata capace.
Ed è un difetto che mi è costato caro.

Tutti gli sguardi furtivi che mi rivolgevano a scuola, le risatine che suscitavo quanto entravo in classe e i mormorii quando preferivo isolarmi a leggere un libro anziché spettegolare con le mie compagne, sono senza dubbio le cose che più mi ferivano e mi facevano chiudere ulteriormente in me stessa.

"Ci vediamo tra nove mesi." Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora