Capitolo 7 ~ Davis

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L'ennesima notte passata fuori ad ubriacarmi.

L'unica cosa positiva è che non ero solo, ma con Peyton. Stavolta tutto è stato strano. Non abbiamo fatto sesso come accade di solito, ma abbiamo parlato. O meglio, io ho solo ascoltato.
Non mi aspettavo che avesse il cuore infranto, né che io fossi solo una distrazione. Da quello che mi ha detto l'altra sera, avevo dedotto si fosse innamorata di me, ma non è così. Sono un ripiego.

Nessuna donna mi aveva mai usato. Di solito sono loro a sperare in un lieto fine con me. Ma lei è diversa, non le importa del "vissero felici e contenti", non più ormai. I suoi occhi verde scuro immersi nella penombra risultavano di un grigio triste, le spalle curve mentre sorseggiava un bicchiere di Rum.

Vederla sotto questa luce, così vulnerabile, mi ha fatto cambiare idea. Se prima mi sembrava una ragazza facile e determinata, ora mi sembra solo una ragazza fragile. Quello che più mi ha colpito è stato quando si è scusata per il suo comportamento e ha detto che aveva deciso di andarsene, ma qualcosa la tiene legata qui. Come la capisco.
Non ha specificato cosa, però. Probabilmente questo bar.

Anch'io ho qualcosa che mi tiene legato a San Francisco. Qualcosa che non rivelerò mai a nessuno. Nemmeno Charlie, l'amico a cui ho raccontato una parte di verità ne è a conoscenza.

Osservo i miei piedi muoversi automaticamente sul marciapiede lungo il tragitto verso casa. Tengo le mani in tasca nella speranza di ripararmi dal gelo, ma a quest'ora fa troppo freddo. Le luci dei vicini sono tutte spente, tranne una. Mi fermo ad osservare la finestra e un'ombra passa velocemente davanti, sembrava una ragazza.

Guardo l'orologio che segna quasi le due di notte. Cosa ci fa sveglia a quest'ora?

Pochi secondi dopo entro in casa. Accendo una lanterna, perché oltre a una macchina non ho nemmeno l'elettricità. Mentre sto sfilando i pantaloni, perdo l'equilibrio e quasi cado a terra.
Merda, devo stare più attento.
Mi rialzo senza fare rumore e poi lancio la divisa da barman ormai macchiata di liquori e salsine nel cesto della biancheria.

Un ricordo sfocato appare improvvisamente nella mia mente. Un uomo di cui non riesco a focalizzare il volto mi da in mano uno strano oggetto. Non riesco a ricordare più nulla, ma è come se fosse successo proprio in questa stanza, molti anni fa.
Mi guardo intorno. Osservo la mensola con i libri ben ordinati per altezza, il tappeto allineato al divano, la polvere sul comodino. Tutto sembra dove è sempre stato, niente è fuori posto. Sospiro.

***

lunedì è il mio unico giorno libero. Come barman dovrei essere al locale ogni sera, ma Peyton è stata gentile a concedermelo. Almeno avrò un po' di svago.

Alcuni amici che ho conosciuto qualche mese fa mi hanno informato che stasera ci sarà una festa.
Tutti ragazzini dell'università. Non si direbbe che io abbia ventisette anni, perciò con un po' di fortuna potrei riuscire a imbucarmi. Alex mi ha assicurato che conosce uno degli organizzatori, non dovrebbero esserci problemi.

Indosso una camicia bianca e un paio di jeans neri. Mi guardo allo specchio, do una sistemata ai capelli mettendo un po' di cera e mi lavo i denti. Oggi ho fatto due docce, non ho bisogno di una terza anche perché ci vorrebbe troppo.

Guardo l'ora: sono le nove e venti.
Charlie dovrebbe essere qui a momenti, meglio che mi faccia trovare fuori casa.

-

La musica si sente da mezzo miglio. Mi maledico di non avere con me dei tappi per le orecchie.
Il prato è cosparso di bicchieri e mozziconi di sigarette, ma ancora nessun ubriaco che vomita. Forse non ho più l'età per andare a certi eventi visto che già sento l'irritazione dentro di me.

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