Capitolo 9 ~ Roy

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Aaron Young era il classico figlio di papà a cui interessava solo una cosa, il sesso. Da quanto si diceva, la sua mascella scolpita e i suoi capelli corvini avevano fatto breccia nel cuore di molte ragazze.

Non mi sono mai preoccupato di lui, fino al giorno in cui lo vidi con Grace.
Era autunno, un manto di foglie secche ricopriva l'asfalto.
Uscito dal portone del college stavo accompagnando Tommen alla sua auto.
《Mia madre e mio padre hanno litigato di nuovo. Credo si lasceranno.》
《Davvero?》Lo guardai. Non mi sembrava di aver sentito nulla di nuovo, questa storia andava avanti da parecchi anni ormai. Perché non ci hanno pensato prima?
Annuì. 《Sono solo due alcolizzati e io mi sono stufato. Non è che potrei venire a stare da te per un po'?》
《Puoi dormire nella soffitta, ma non ci sono riscaldamenti, con questo freddo non te lo consiglio.》
《Hai ragione, e poi con i tuoi in casa non potrei portarmi a letto nessuno.》
Risi al pensiero. 《Già.》
Mi passò la sigaretta e feci un tiro. Buttai fuori una nuvola grigiastra, e mentre l'aria fredda mescolata al fumo mi riempiva i polmoni, notai una massa di capelli biondi in lontananza.
Era così evidente perché quel colore troppo chiaro spiccava tra tutti gli altri, per via delle sue origini albanesi.

Vidi che non era da sola. Capitava che uscisse con dei ragazzi, ma era palese che lei come nessuna, avrebbe provato semplice amicizia per uno come lui.
Ridevano soltanto e da come lo guardava si capiva che ne era già persa. Non riuscivo a crederci.

Dopo quel bacio tra di noi non era successo altro a parte alcune effusioni. Probabilmente toccava a me fare la prima mossa, ma ero troppo preoccupato.
Temevo che se i nostri genitori ci avessero scoperti, mi avrebbero buttato fuori casa. Come potevano accettarlo? La voce si sarebbe sparsa e tutto il vicinato avrebbe pensato ad un incesto, che oltretutto non era assolutamente vero. John mi avrebbe lanciato una bottiglia di birra in testa e ripetuto ancora una volta di essere la vergogna della famiglia. Grace aveva il diritto di avere una vita che mi escludesse, seppur io continuavo a rimuginarci.

Passarono i mesi, i nostri dialoghi si facevano sempre più asciutti.
Diventarono un semplice "buongiorno" di mattina e un "come va?" qualche volta, di pomeriggio. Non avevamo più argomenti in comune. Mi era sfuggita dalle mani, di bocca. Bella, come una farfalla lascia la sua crisalide da bruco, lei mi aveva abbandonato.

Venne il giorno in cui lo portò a casa, Rosalie era contenta perché era il primo. Lui ovviamente impersonò la parte del bravo fidanzato, facendo complimenti a lei e alla casa, tanto che ne restarono tutti impressionati. Tutti tranne me.

Non potevo farle cambiare idea, testarda com'era. Possibile che non sapesse di tutte le voci che giravano su di lui? Una volta ha persino comprato della droga dal mio stesso spacciatore, la prova che è solo un delinquente.

Per amare devi saper essere felice per l'altra persona. Anche se significa non esserlo più tu, anche se la sua felicità non ti riguarda.
Chi non ha coraggio di fare questo, non può amare.

Sarei dovuto essere al posto suo, nell'istante in cui le scostò una ciocca dalla fronte e lei gli sorrise.
Quando a tavola si scambiavano sguardi complici e lei rideva alle sue battute.
Sarei dovuto essere al posto suo, a cingerle il fianco con il braccio.
Tutte quelle mosse sembravano calcolate, si muoveva come se sapesse già cosa fare ma lei non poteva notarlo. Io sì.
Io che avrei fatto attenzione a ogni particolare, persino all'angolazione da cui le mie labbra avrebbero sfiorato le sue.

Sarei sempre rimasto un ragazzino impacciato davanti al suo amore, indeciso sul da fare, se le avessi regalato tulipani gialli o rossi.
Mentre lei andava avanti, io restavo dov'ero. Sotto quel cielo stellato nella notte del suo compleanno. Fissando l'ombra del suo corpo proiettata a terra, nei suoi occhi luccicanti, quell'unica volta che non fingevano più.

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