52 ~ Nora ~ + 103

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Il primo passo da compiere quando si vuole cancellare qualcuno dalla propria vita, è convincersi di potercela fare anche se in realtà non è così. Ma è come quando tentano di convincerti che la tua ansia non è reale, che gli attacchi di panico sono un'impressione.
Fosse così sarei già a rilassarmi in una spa e gli psicologi disoccupati.

Ecco perché non si può evitare il dolore, non i primi tempi almeno, ma bastano piccoli trucchi per affrontarlo meglio: una spalla su cui piangere, ad esempio.
Qualunque strategia che possa distrarci andrà bene.

A me ad esempio basta una serie tv interessante e un divano comodo o Margaret che mi insegni nuove ricette. Prima però c'è la fase del rifiuto da affrontare, e pensare che per la seconda volta dovrò vivere la stessa esperienza mi sta facendo impazzire.


Sono nel mio appartamento da ieri, ho fatto a pezzi molte cose e spento il cellulare.
Per distrarmi fingo di essere una donna americana e inverto le parti, ripetendo ad alta voce «A cut you off» come se fossi stata io a voler terminare la storia. È un po' triste, farebbero meglio a rinchiudermi in una clinica psichiatra.

Scatto una foto alla stanza. Vorrei premere invio ma non lo faccio, non la vedresti comunque.
Non è una scusa perchè voglio sentirti ma per farti vedere che da quando te ne sei andato nulla è cambiato.
O almeno sembrerebbe: l'aria si è seccata, le mura si sono ristrette e non contengono più tutti i miei pensieri. Ho la nausea perchè sento ancora il tuo odore in giro per la casa. Vorrei spalancare le finestre e farti uscire.
Sarebbe facile lasciar perdere, fingere che tu non sia mai vissuto qui, che il mio cuore sia ancora dove dovrebbe essere. Abbasso lo sguardo e mi sembra di vederlo sul pavimento, calpestato. Ho fatto tre docce, vorrei cancellare le tue impronte dal mio corpo, sento ancora il tuo tocco e mi sembra di impazzire.


Ma ecco che il campanello suona e sento una fitta allo stomaco. Non può essere lui, sarà mia madre. Mi ha chiamato così tante volte e io l'ho ignorata. Il mio stato mentale non dovrebbe avere conseguenze sulla gente che amo, ma non posso farne a meno. Sento il bisogno di far soffrire gli altri per sentirmi meno sola.

Mi fermo davanti allo specchio sorprendentemente intatto. Il mio aspetto è meglio di quel che pensassi, la doccia mi ha fatto bene fuori ma non dentro.


Giro lentamente la chiave e apro la porta trovandomi davanti mia nonna.
La rabbia mi pervade nuovamente. «Cosa vuoi?»

«Ciao.» dice seria. «Volevo salutarti. Tra un'ora parto.»

«Ciao.»

Guarda il macello dietro di me ma la sua espressione non cambia. «Ho saputo...»

«Sh.» la interrompo immediatamente. «Non serve che dici che ti dispiace.»

«D'accordo.» esita per un attimo. «Vuoi della compagnia?»

«Non mi serve.»

Non mi ascolta e mi supera entrando in casa. «Non fa un po' freddo? Ti verrà la polmonite.» si affretta a chiudere le finestre. Ho l'istinto di fermarla ma non lo faccio. Elsa inizia a raccogliere i pezzi di vetro a terra ammucchiandoli sul palmo della sua mano. Poi come se niente fosse inizia a parlare: «So che mi odi, e ne hai tutti i diritti.»

Alzo gli occhi al cielo e non rispondo. Ecco il classico discorso di chi vuol farsi perdonare e cerca compassione.

«Ma mettiti nei miei panni.»

«Certo, devo sempre mettermi nei panni di tutti.» rispondo secca.

Butta i cocci nella spazzatura e inizia ad asciugare l'acqua che ho lasciato nel bagno. Io la seguo a ogni passo per poter sentire la sua giustificazione.

Inside our soulsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora