50 ~ Nora ~ + 102

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«Tesoro, dovremmo andare a prendere le tue cose.» Di cosa parla? Davis mi cinge con le braccia, eppure a giudicare dal peso che sento dovrei essere arrabbiata.

Non riesco o non voglio ricordare il motivo perciò mi convinco che non sia successo niente e lo stringo a me come se potesse andare via improvvisamente. Cerco di imprimere bene la sensazione del suo corpo che aderisce perfettamente al mio ma non ne sento il calore. Perché?
Lo stringo più forte. Lo guardo, ha quell'espressione innamorata che c'è negli occhi di chi ama.

«Tesoro?» continua a ripetere mia madre. «Non puoi restare in pigiama anche oggi.»

Sussulto dallo spavento e metto a fuoco la stanza. Ieri sono stata dimessa e i miei genitori mi hanno portata a casa senza dire una parola. Non so se ho dormito, non so come siano passate le ore fino ad ora perché non mi sono mossa dal divano. Credo di aver avuto gli occhi incollati sul televisore a guardare continuamente i cartoni animati. Mi ripeto da allora che se scoppio a piangere sarà la fine, non posso permettermelo. Perciò è come se stessi fluttuando in una specie di limbo, non parlo con nessuno per non perdere la concentrazione, non vado in camera mia o nello studio di mio padre per non essere sommersa da pensieri spiacevoli. Resto qui, avvolta nel plaiddei miei genitori che mi sa tanto di tristezza. Che colore è il grigio? Non è bianco e nemmeno nero, una via di mezzo proprio come me che non sono viva ma nemmeno abbastanza morta.

Mia madre mi poggia accanto un piatto di biscotti fumanti. «Li ho fatti con la ricetta di Margaret, assaggiali.»

Resto a fissarli senza allungare la mano. Vorrei mangiarli ma il mio stomaco è così contorto che non conterrebbe nemmeno un bicchiere d'acqua.

Sospira. «Comunque se vuoi ci vado io nell'appartamento, basta solo che mi scrivi cosa prendere.»

Sposto gli occhi su di lei e dal suo sussultare capisco che non devo avere una bella espressione. Sarei proprio curiosa di vedermi.

Perché dovrebbe prendere le mie cose? Non c'è niente che mi possa aiutare. «Dovresti andare a lavoro.»

È stupita che abbia finalmente parlato, anche se non avrebbe voluto sentire questo. «Ho preso un giorno libero.»

Mi fa solo sentire peggio, non ho bisogno qualcuno che si occupi di me o peggio che mi controlli.
Anch'io vorrei un giorno libero, dal dolore. Per riuscire almeno a respirare senza fatica.

«Ci andrò io domani.»

«Non credo che...»

«Si.» ribatto.

Si appoggia con la schiena al divano. «Be' non credo che lui sarà lì, quindi.»

Lui. Ho un crampo allo stomaco.  Un semplice pronome significa così tante cose: l'uomo che ho amato per giorni senza stancarmi mai, lo stesso con cui ho condiviso gioie e dolori, risate e complicità, che mi ha spezzata in due senza pensarci due volte. Quel lui, significa tutto e vorrei poter riscrivere la grammatica per cancellare ogni suo riferimento. Così diventerebbe una persona qualunque e io sarei costretta ad accettarlo senza pensarci su perché è così che è la vita ed è così che si va avanti. Amicizie false, gente falsa. Ma passano, non sono così lancinanti come l'amore, non hai l'impressione che potresti morire di crepacuore da un secondo all'altro. Da un lato lo spero, ho paura di ciò che verrà dopo.

-

Il campanello suona ripetutamente. Mia madre si precipita di sotto e mi guarda perché sa cosa sto pensando.
Ma non può essere qui se lo hanno arrestato. Aspetto che vada a guardare dallo spioncino.

«È Aubrey.» mima con le labbra. Per un secondo ho desiderato fosse Davis, solo per il gusto di guardarlo negli occhi e farmi ancora più male. Le faccio cenno di non aprire, non voglio parlare con nessuno.

Inside our soulsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora