48 ~ Nora

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È il suono delle sirene a svegliarmi da quello che credevo fosse un sogno, in realtà ho perso i sensi poco dopo lo schianto e non ho la più pallida idea di come siano proseguite le cose. Riesco a respirare ma sento il petto compresso come se qualcosa di pesante mi avesse schiacciata.

«Soccorrete i feriti più gravi!» sento urlare qualcuno. Dove siamo e cosa è successo?

Riesco ad aprire gli occhi quando qualcosa di solido batte ripetutamente sulle mie guance. «Signorina? Signorina!»

Davanti a me una donna con indosso un giubbino di un arancione fastidioso mi guarda con impazienza. «Riesce a ricordare il suo nome?» continua a chiedermi.

Ma la mia bocca non accenna a muoversi né il mio cervello a fare il punto della situazione. Ho la testa che mi scoppia e mi sento frastornata, riesco a malapena a girare il collo. Mi accorgo di essere su una barella, come ci sono finita qua sopra? Intorno a me sangue, pianti e lamenti di dolore. Ho un flashback di quando ero a casa con i miei genitori, poi io e Davis siamo saliti sul bus e dopo... dopo lo schianto. Il mio cuore si ferma per un secondo e io mi dimeno cercando di alzarmi.

Vedo cocci di vetro sparsi ovunque e le scarpe dei soccorritori ci camminano sopra producendo uno scricchiolio insopportabile. Più in lontananza scorgo il pullman riversato su un lato.

«Stia calma, non può muoversi.» mi richiama la donna mentre cerca di aiutare un altro ferito.

«Dov'è lui?» riesco a dire.
Mi si ritorce lo stomaco al pensiero che potrebbe essere morto. Delle lacrime calde iniziano a bagnarmi gli occhi.

«Lui chi? Dobbiamo portarla in ospedale.»

Mi spostano verso l'ambulanza ma io oppongo resistenza. «No, non posso andarmene senza di lui, ero con il mio ragazzo!» gracchio.

«Sta perdendo del sangue! Vi ritroverete di sicuro in ospedale.» ripete.

Abbasso gli occhi e noto il taglio profondo sulla gamba che fin ora non mi ero accorta di avere. Ecco spiegato perché mi fa così male.

«Valerie!» urla qualcuno.
Mi giro, un uomo è a terra di fronte a una sagoma e piange con la fronte appoggiata su di essa.

«No!» urla con la voce strozzata dal dolore. «Noo!»

I soccorritori cercano di allontanarlo ma lui li spintona. «Lasciatemi!»

E poi le porte del veicolo si chiudono mentre dai miei occhi le lacrime non smettono di sgorgare.

Il viaggio è opprimente, non faccio altro che pensare a Davis. Il modo in cui mi ha tirata a se per proteggermi dall'impatto, l'odore del suo profumo prima che perdessi i sensi. Ho una flebo attaccata al polso che vorrei solo staccare per scappare via, andare a cercarlo.

«Ci sono stati dei morti?» mi faccio coraggio e lo sussurro.

L'infermiere accanto a me mi guarda con una smorfia sulla bocca. «Fin ora no, ma molte persone sono state trasportate d'urgenza.»

«Quanti eravamo?»

«Diciotto, compreso l'autista.»

Vorrei chiedere com'è successo perchè l'unica cosa che so è che l'autobus ha deviato per evitare il cane, ma come potrebbe saperlo se non c'era? Nessuno di loro è mai presente nell'attimo stesso in cui accade la tragedia, il loro compito è impedire solo che qualcuno muoia e tranquillizzare i superstiti. Ma chi vogliono prendere in giro? Niente andrà tutto bene.

Cerco di concentrarmi su qualunque cosa, osservo le rughe intorno ai suoi occhi e provo a indovinare che età abbia ma la mascherina che gli copre metà viso rende tutto più complicato.

Arriviamo a destinazione e vengo sottoposta a un rapido controllo, poi vengo sistemata in una stanza del pronto soccorso in attesa di una medicazione alla gamba. Hanno la precedenza le persone più a rischio perciò devo aspettare. L'ansia non mi lascia in pace, sono terrorizzata. Non appena mi accerto di essere sola, cerco di alzarmi a fatica. Ignoro il dolore e vado a cercare Davis.

Vedo altri feriti che vengono trasportati d'urgenza in altri padiglioni, per fortuna gli infermieri sono troppo occupati e non fanno caso a me. Sbircio nei vari lettini ma di lui nessuna traccia. Il respiro inizia a mancarmi e l'aria diventa irrespirabile, come se fosse intrisa di veleno.

Inizio a singhiozzare, e quando lo vedo inerme, sdraiato nella sua solita posizione a soldato e il viso pieno di sangue lancio un grido di dolore. Corro verso di lui, per quanto riesca ad essere veloce e mi costringo a guardare, a poggiare le mani sul suo petto mentre tengo gli occhi aperti il minimo da convincermi che questa sia la cruda realtà.

Lancio un altro urlo di terrore alla vista di tutto questo rosso.

«Ma che fa? Si calmi! Non dovrebbe essere qui!» qualcuno mi afferra per il braccio.

Mi accascio su di lui, cerco di sentire il battito del suo cuore ma le orecchie mi fischiano così tanto.

«Non è morto, ha solo perso i sensi. Lo abbiamo già medicato. Ha sbattuto la testa.» Mi giro verso chi ha pronunciato le parole e cerco un segno di verità nella sua espressione. La donna vestita di bianco mi mostra quel sorriso di rassicurazione che odio tanto, che sprigiona tanta falsità che vorrei strapparglielo dalla faccia.

«Venga.»Mi trascina fuori dalla stanza contro la mia volontà, ma sono troppo debole per ribattere. Non lo perdo di vista finché non giriamo l'angolo e sono così afflitta dal dolore. Vorrei prendermela con tutti.

Mi da un bicchiere e un calmante. Temo che stia per avere un attacco di panico perchè mi tremano le mani e quando lo afferro vedo l'acqua sbordare. Devo solo convincermi che stia bene, tranquillizzarmi.

Sento le palpebre più pesanti e il battito rallentare. Poggio il bicchiere sul comodino accanto a me e lascio andare la testa sul cuscino. L'ultima cosa che vedo sono i grattacieli fuori dalla finestra.

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