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[ULTIMO CAPITOLO]

L'inizio di una settimana è un incipit ai buoni propositi.
Quel giorno era lunedì e il vento tirava troppo forte, il sole sembrava sparito e le nuvole minacciavano una tempesta.
Ma io mi ero promesso che sarei partito e alle dodici di quello stesso pomeriggio sarei giunto in Francia.
Avrei oltrepassato la soglia di quel college e mi sarei presentato dietro la cattedra del rettore, che mi avrebbe indirizzato nell'aula del professore più rinomato a osservare passo per passo i suoi movimenti e le sue tecniche di insegnamento. Lo avrei assistito e aiutato e in compenso avrei arricchito la mia cultura, approfondito gli studi e chissà, fino ad arrivare al suo livello.

Mentre fantasticavo ad occhi aperti sorseggiando il mio caffè, pensavo anche alle conseguenze che la mia scelta avrebbe comportato.
Grace si sarebbe svegliata e si sarebbe messa a urlare, avrebbe incolpato mia madre e mio padre stanco della solita tiritera le avrebbe mollato due ceffoni per zittirla.
Quel vecchio burbero non si rendeva conto che peggiorava solo la situazione.
La valigia era pronta di fianco alle scale, con dentro i miei vestiti buoni perfettamente immacolati e ordinati per colore. Avevo persino rifatto la barba e accorciato un po' i capelli per l'occasione. Mi alzai, indossai la giacca sotto lo sguardo giudizioso di Rosalie e poi aspettai che dicesse qualcosa. Era tradizione che dovesse farlo.

«Finalmente hai messo la testa a posto.» quasi piangeva dalla gioia, si copriva la bocca con le dita e aveva le sopracciglia corrugate mentre si stringeva nella vestaglia.

«Potevi dirlo prima che fare l'avvocato non ti piaceva, avrei lavorato di più per pagarti il viaggio e i libri.»

«Non fa niente, me la sono cavata come giardiniere.» cercavo di buttarla sul ridere.

«Oh, chiamami appena arrivi. A che ora è il volo?»

Guardai l'orologio che segnava le sette e trentadue in punto, anche questo dettaglio perfettamente immacolato nella mia memoria.

«Tra un'ora e mezza, meglio arrivare in anticipo.»

Entrambi sapevamo che dietro la mia frase era nascosto ben altro che una semplice puntualità. Volevo andarmene prima di vedere gli occhi di Grace inumidirsi di lacrime.

«Mi dispiace se questo posto non è stato il massimo per nessuno di noi. Cerca di avere cura di te e non stressarti troppo.»

Risi. Che strano sentirli parlare a quel modo.
Se qualcuno dei miei vecchi amici mi avesse visto partire avrebbe pensato fossi matto. Il leader del gruppo se ne andava da quella cittadina opprimente, incravattato come gli adulti che  prima additava con tanto astio. Ma io sarei stato diverso, avrei avuto il senso dell'umorismo e non avrei usato una cartella in cuoio marrone, né bevuto caffè senza zucchero a un prestigioso bar. Mi sarei limitato a ordinare un cappuccino completo di ciambella al cioccolato al chiosco davanti al college, che dalle foto sembrava carino e allestito bene.

Un racconto perfetto se non fosse che quella stessa mattina nonostante abbia fatto il riepilogo delle cose da mettere in valigia, il mio portafoglio sia rimasto sul tavolo della cucina accanto alla tazza da caffè vuota.

Me ne accorsi solo quando ero giunto in aeroporto e non trovai i soldi per pagare il taxi.

«Oh, merda. Ho dimenticato i documenti, tutto. Il passaporto!» esclamai.

L'uomo con la sigaretta in bocca saltò sull'attenti e mi guardo dallo specchietto. «Sta scherzando?»

«Vorrei poter dire di sì.» risposi continuando a frugare mentre un groppo d'ansia mi saliva su per la gola.

Inside our soulsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora