Capitolo 2 - L'Eredità

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Miliardi di anni dopo la collocazione temporale del Mito

Una finestra dalle placcature in marmo, addobbata con delle pesanti tende sontuose, mostrava il panorama esterno in un modo decisamente esteso, vista la posizione più elevata dell'apertura.

Il sole approssimava a tramontare, affondando inesorabilmente all'orizzonte, mostrando una skyline mozzafiato del tramonto rossastro, dettagliata da sagome massicce che si ergevano verso l'altro, alcune invece più ampollose, come delle cupole. L'ininterrotto panorama cittadino della Capitale del pianeta Phanial, fulcro di tutto l'impero argonidiano, proseguì da un lato con un susseguirsi di abitazioni, botteghe, centri, altri grattacieli, altri imponenti edifici decorati da cupole altrettanto imponenti, strade apparentemente lisce, ma decorate minuziosamente con quelli che sarebbero potuti essere dei rifinitissimi mosaici, dall'altro invece i grattacieli si infittivano sempre più, fino a lasciare spazio ad un imponente anello metallico che dominava la scena, un particolare marchingegno di cui gli argonidiani facevano spesso uso. Quella struttura non era nient'altro che il Grande Portale Iperspaziale di Phanial, un mezzo con il quale si poteva raggiungere ogni angolo della galassia in men che non si dica, un prodigio della tecnologia argonidiana.

L'uomo affacciato a quella finestra marmorea perse lo sguardo verso il cielo, verso i quattro satelliti che ruotavano attorno al pianeta madre dell'Impero: Birim-Ri, il più piccolo ma anche il più vicino al pianeta, visibile come una pallina da tennis a qualche metro di distanza; Tzarm-Duna, la seconda luna meno distante dal pianeta, delle dimensioni della precedente citata; Isperitz-Kaw, la più grossa delle quattro ma anche la più distante; Hoztlak-In, che seguì la precedente per grandezza ma terza per distanza dal pianeta a cui girava attorno.

Tutte e quattro le lune si caratterizzarono per il loro color grigio opaco ad eccezione del momento in cui tramontava il sole, dove, se fossero state osservabili, avrebbero mostrato un colore decisamente più caldo e rossastro.

Quell'uomo, un tipo sbarbato dai capelli argentati abbastanza lunghi e raccolti da una coda alta, dalle iridi di un giallo penetrante, rimase affascinato dallo spettacolo che il crepuscolo gli offriva ogni giorno.

«Spero vivamente che tu possa osservare tale scenario ancora per molti hakt» si pronunciò qualcuno, con una voce rauca e stanca, riferendosi all'uomo assorto a contemplare quel panorama.

L'uomo distolse le proprie attenzioni da quello scenario e voltò la testa verso la direzione dalla quale proveniva quella voce.

«Spero li possa vedere anche lei, mio Signore» rispose con voce sommessa l'uomo.

«Il mio tempo è quasi giunto purtroppo, mio caro... Così tante cose da fare... e così poco tempo per portarle a termine» sospirò quella voce anziana.

«Sono sicuro che...»

«Non abbindolarti nelle illusioni, fanno solo naufragare gli individui...» continuò l'altro, interrompendo l'uomo dai capelli argentati «Hai molto di meglio a cui pensare, a quest'opera, all'Impero, mio Consigliere... ai tuoi figli!»

«Murwa Aktis Slut...» mormorò l'uomo di conseguenza, ma venne ancora bloccato da quella voce anziana «Sai, ho pensato quanto fosse fastidioso ogni volta pronunciare nomi così prolissi, ci fosse un metodo più semplice per poter chiamare qualcuno, magari utilizzando le iniziali... ma poi, quell'individuo capirebbe?»

«Non me lo sono mai chiesto, mio imperatore» rispose con devozione l'uomo.

«Avvicinati.»

La testa argentata si allontanò dalla finestra e si diresse verso un lussuoso letto a baldacchino, nel quale, sotto diversi strati di coperte altrettanto fastose, vi era un individuo esile, con i capelli lunghi ed arruffati, la pelle segnata da una moltitudine di rughe, degli occhi azzurri, i cui polsi mostravano un miscuglio di simboli a forma di ˪ molto opachi, come se fossero privi di energia, senza alcuna vitalità. L'uomo avvicinò una sedia a quel letto e si sedette, in attesa di sentire le parole dell'anziano.

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