Capitolo 18 - Tenacia Argonidiana

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La capitale del Pianeta Madre stava diventando sempre più un cumulo di macerie. Man mano che passava il tempo, le sue condizioni si facevano più critiche.

Nell'aria continuava ad imperversare la tempesta di fuoco e fiamme, una miriade di navicelle stava letteralmente abbattendo ogni singola resistenza della città. Le contraeree argonidiane rispondevano incessantemente, ma nonostante ciò, l'artiglieria non riusciva a reggere il confronto con un assedio tanto feroce e violento. Per ogni dozzina di navicelle che cadevano, un cannone multifunzione saltava in aria. Il problema era di numero, perché per quante ve n'erano in volo, le armate nemiche sembravano infinite.

E mentre la realtà argonidiana andava man mano sbriciolandosi, i due Saggi si ritrovarono, insieme ad altri elementi della Sede Accademica, ad assistere a quel crudele scenario, apparentemente impotenti.

«Non possiamo fare proprio nulla, vero?» parlò un giovane soldato che assistiva con loro a quella scena.

Uno dei due Saggi, quello a cui era stato commissionato l'incarico di radunare le truppe e inoltrare il Piano di Difesa mondiale, sospirò e strinse i pugni.

«Sarebbe una missione suicida per i più» disse infine, a denti stretti, con una rabbia che lo avvolgeva completamente.

«Per ogni secondo che aspettiamo, decine di civili e soldati stanno perdendo le loro vite. Per ogni minuto che passa, saremo sempre più indifesi. E forse, quando si attiveranno gli scudi deflettori, sarà troppo tardi» mormorò il collega, ponendogli una mano sulla spalla.

Il primo Saggio fece un lungo respiro e assimilò il discorso appena pronunciato dall'altro. Poi si voltò, dando le spalle a quello scenario agghiacciante, osservando responsabili, giovani, soldati, studenti dell'Accademia che uscivano all'esterno dell'edificio, chiamati dalla curiosità di voler assistere a quello "spettacolo" e dal dovere patriottico di non restarsene con le mani in mano, perché non agendo sarebbero forse sopravvissuti, ma senza più una casa, senza più la libertà. Attendevano soltanto le parole dei due Saggi che, in assenza di un sovrano e della scomparsa dell'intera élite, erano i comandanti provvisori a capo di tutto l'Impero.

Quest'ultimi si scambiarono un'occhiata per qualche attimo, poi il primo, quello colto in pieno dalla rabbia e dal senso di ingiustizia, si elevò affinché potessero sentire ognuna delle sue parole.

«Adesso non importa il nostro ruolo, il nostro grado, il nostro pensiero. Per questo, saremo tutti sotto un'unica parola» cominciò a dire, per poi prendere una pausa di qualche secondo.

Inspirò, espirò.

«ARGONIDIANI!» urlò infine, alzando al cielo il braccio destro e sfoderando il proprio scettro tramutato in lancia.

«Siamo andati incontro ad un duro destino, piombatoci all'improvviso, senza alcun preavviso! Stiamo subendo un duro assedio e non prometto a nessuno che il sole di Phanial, domani, sorgerà ancora una volta. Ma questo ormai è irrilevante, perché l'unico nostro impegno, d'ora in poi, è difendere la nostra patria, le nostre case, i nostri cari! Ad ogni costo! Con ogni mezzo!»

Quelle parole infervoranti caricarono i presenti, che guairono con un boato di coraggio e rivendicazione, un mix adrenalinico dal potenziale enorme. Sfoderarono spade, lance, khopesh, archi e balestre, puntandole verso l'alto, in direzione dell'invasore.

«ARGONIDIANI!» urlò l'altro saggio, elevatosi anche lui in cielo «Nessun divieto di levitazione per la città! Carichiamoli!»

Una miriade di soggetti si lanciò a razzo dall'Accademia, fiondandosi a gran velocità verso la città, scontrandosi con i mezzi nemici.

Parte di quelle navi si accorse della minaccia in arrivo e si concentrò su di essa, dando però modo ai cannoni multifunzione di poter mietere lo "sciame" nemico.

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