Capitolo 13

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COLE


“Mi dai ai nervi.” Sbuffai.

“Mi dovrai sopportare. E non sbuffare, è maleducazione.”

Guardai Steve con la coda dell'occhio e lo incenerii con lo sguardo. Non mi mollava un attimo ed era fin troppo estenuante. Non taceva neanche un minuto, mi rimproverava per ogni cosa e mi costringeva a farne delle altre.
Giuro che se non fosse già morto lo avrei ucciso.

“Guarda che ti vedo, non si guarda male un angelo.”

“Ma non ti zittisci mai?” lo guardai esasperato.

“No, almeno impari con la forza visto che con le buone non lo hai fatto.”

Mi fermai. Ero quasi arrivato da Sparkle per vedermi coi ragazzi, ma proprio non ce la facevo a sopportarlo di continuo. Lo guardai sospettoso, forse avevo già intuito dove voleva andare a parare.

“Che intendi dire?”

“Intendo dire che il tuo precedente angelo custode non è riuscito a fare niente di niente e ora devi sopportare me.” Disse fermandosi anche lui.

Ero indeciso se sferrargli un pugno in faccia o ignorarlo.

“Non parlare di lei.”

“E perché scusa?” alzò un sopracciglio. “È un angelo come me, ha fallito e l’hanno fatta tornare indietro.”

“Smettila.” Strinsi le labbra.

“Se lo è meritata.”

Lo guardai infuriato e lo raggiunsi velocemente.

“Non sai un cazzo di lei.”

“No, non è vero.”

“Tu non la conosci.”

“Oh si che la conosco. Me l'hanno fatta vedere molte volte mentre se ne stava qui a scambiarsi vestiti e smancerie con te invece di lavorare.”

Aggrottai la fronte. “Ma di che stai parlando?”

Alzò gli occhi al cielo. “Oh si, ora fai il finto tonto.”

Scossi la testa e tornai a camminare verso la tavola calda. Non sapeva un bel niente di me, di lei, di tutto ciò che era successo in quei mesi. Forse non ero migliorato, vero, ma Ella mi aveva fatto capire molte cose. Mi aveva insegnato a valutare il senso della vita, mi aveva insegnato a dare più valore ai rapporti umani, mi aveva insegnato così tante leggi morali da poterne fare una lista. Avevo dato per scontato tutte le sue parole e i suoi avvertimenti e ne stavo pagando le conseguenze. Perché più di tutto avevo perso lei.

“Non posso lasciartelo fare.”

“Fare cosa?” sospirai mettendo le mani nelle tasche del cappotto per via del freddo.

“Andare dai tuoi amici.”

Lo ignorai e raggiunsi l'entrata. Quando feci per aprire la porta non ci riuscii, il mio corpo sembrò come se si fosse pietrificato all'improvviso. Provai a muovermi ma neanche un muscolo rispondeva ai miei comandi.
Steve mi raggiunse e mi guardò altezzoso.

“Credi che io non lo sappia?” mi guardò con quell'aria sufficiente da coglione. “Io non sono Ella. Non mi faccio prendere in giro facilmente. So perfettamente cosa pianificate tu e i tuoi amici quando venite qui. E non lo posso permettere.”

“Ma sei matto? Lasciami andare!”

“Non ci penso neanche.” Scosse la testa.

“Se qualcuno mi vede qui immobile a parlare da solo mi prenderanno per un idiota.” Cercai di guardarmi intorno ma non ci riuscii. Sentii tuttavia diversi bisbigli.

“Non me ne frega niente di ciò che la gente pensa di te. Sono qui per far si che tu ti comporti bene ed entrare lì dentro farà accedere l'esatto contrario.”

Grugnii e lo guardai furioso. “Liberami!”

“Andrai li dentro?”

Sbuffai. “No.”

Steve alzò un sopracciglio poco convinto. “Guarda che se disobbedisci sarà peggio.”

“Ho detto che non ci vado!”

Mi guardò per qualche istante, poi sentii i muscoli rilassarsi e ripresi a muovermi normalmente. Lo guardai fulminandolo nel peggiore dei modi, vidi alcune ragazze in lontananza guardarmi in modo strano e bisbigliare fra di loro. Strinsi i pugni talmente forte da farmi male e tornai indietro verso la mia auto.
Erano passati solo tre giorni dal suo arrivo e già volevo farlo fuori. Letteralmente.


****


“Sicuro che non vuoi che passi un po' li da te?”

“No Josh, è tutto okay.” Parlai contro il telefono prendendo le chiavi di casa dalla tasca.

“Ma è la vigilia di natale amico, ti porto un panettone? Forse ne è rimasto ancora uno.”

Alzai gli occhi al cielo e misi la chiave nella serratura. “Ho detto di no. Comunque è quasi mezzanotte, non sarà più la vigilia di Natale.”

“Si ma poi sarà Natale.”

“Josh piantala.” Taglia corto ed entrai in casa. Ovviamente Steve mi seguì dentro.

“Va bene…volevo solo farti compagnia.” Mormorò.

“Non ne ho bisogno. Sto bene da solo.” Dissi per poi chiudere la telefonata.

Non avevo bisogno di nessuno in verità, nonostante fosse Natale non sarebbe cambiato nulla. Stessa vita, stesse facce, stessi problemi. Quindi perché darsi da fare per quelle scemenze. Tutto tempo sprecato.

“Sei stato scortese.” Steve mi guardò.

Lo ignorai e andai verso le scale, volevo solo buttarmi sul letto e chiudere gli occhi. Iniziai a salire le scale, per un momento guardai l'ultimo gradino in cima e immagini di Ella con quel vestito mi tornarono in mente, il modo in cui mi guardava con quei grandi occhi blu. Diamine se era bella, era perfetta con quel vestito addosso e io ero stato un così tale coglione da non riuscire neanche a dirglielo. ‘Stai benissimo’  le dissi. Che idiota.
Scossi la testa e continuai a salire le scale, mi scontrai con un corpo massiccio e guardai mio padre squadrarmi con disprezzo.

“Dov'eri?”

Sospirai e lo superai andando verso la mia camera. Non avevo proprio voglia di subire le sue lamentele senza senso. Eppure, nonostante lo avessi superato me lo ritrovai nuovamente davanti con un aria infastidita.

“Ti sto parlando.”

“Lo avevo notato.” Sbuffai. “Che ti importa di dove sono stato?”

“Come osi parlarmi così?” fece un passo verso me. “Porta rispetto.”

“Chi sei tu per avere il mio rispetto?” mormorai a un pelo dal suo viso.

Vidi i suoi occhi farsi cupi, sempre più scuri, la sua mascella si tese e la vena del suo collo iniziò a pulsare. Tutto prima di sentire il suo pugno dritto sulla mia faccia.
Indietreggiai fino a sbattere contro il muro guardandolo poi con rabbia.

“Sono tuo padre razza di idiota..” mormorò avvicinandosi nuovamente. “Se ti faccio una domanda tu rispondi. Se ti parlo tu mi ascolti.” Mi guardò con aria minacciosa, poi mi sferrò un altro pugno facendomi gemere dal dolore.

“Se ti ordino qualcosa tu la fai senza fiatare.” Mi guardò e fece un sorriso cattivo. “Puoi farti crescere la barba, diventare alto quanto vuoi ma continuo ad essere più forte di te, e finché sarò vivo qui comando io.”

Strinsi le labbra guardando il pavimento, il mio respiro era accelerato dalla rabbia. Volevo urlargli contro, volevo spingerlo via e picchiarlo, sempre più forte, senza fermarmi. Ho sempre pensato che reagire non sarebbe servito a nulla, ho sempre annuito e ignorato le situazioni come questa. Ma in quel momento pensai di non avere più nulla da perdere, non avevo più la pazienza di aspettare che la piantasse. In quel momento pensai di potercela fare.

Mi staccai dal muro e gli sferrai un pugno sullo zigomo. Il suo viso girò di lato, poi lentamente tornò a guardarmi, negli occhi aveva il fuoco.

“Tu..” grugnì e si scagliò su di me.

Tentai di tenerlo lontano, di spingerlo e di attaccarlo di nuovo ma era molto più pesante e forte di me. Iniziò a picchiarmi, sentii un pugno dopo l'altro colpirmi il viso e l'addome facendomi un male cane. Poi mi buttò a terra e stando su di me mise le mani intorno al mio collo stringendo forte la presa. Sgranai gli occhi e misi le mani sulle sue cercando di allontanarlo.

“Non hai ancora imparato la fottuta lezione!?” urlò contro il mio viso.

Non riuscii più a respirare, gli occhi iniziarono a bruciare e sentii le mie mani intorpidirsi col passare dei secondi. Provai a scalciarlo via con le gambe ma fu tutto inutile.

“Non ci credi che ti ammazzo? Ti faccio fuori come ho fatto con lei!” urlò stringendo sempre di più la presa sulla mia gola.

Schiusi le labbra provando a prendere aria, la vista iniziò a sfocarsi e le tempie mi pulsavano come tamburi.

“Sei un debole.” Disse grugnendo, poi si staccò da me. Presi aria tossendo e mi girai su un fianco mentre lui si alzò da terra.

“E non provarci più , sono stato chiaro?” Si pulì la maglia e mi superò andando di sotto.

Mi massaggiai la gola seguendolo con lo sguardo. Chiusi gli occhi e deglutii cercando di non pensare a ciò che era appena successo, a ciò che mi aveva detto. Mi alzai lentamente da terra  e camminai piano verso la mia camera. Quando entrai vidi Steve guardarmi stando seduto sul letto.

“Non dovresti proteggermi tu?”

“Quello è Dio.” Rispose.
“Questa l'ho già sentita.” Sbuffai sbattendo la porta.

“Onora tuo padre e tua madre Cole.” Mi guardò con disappunto. “Come hai potuto farlo?”

Mi fermai guardandolo incredulo. Stava seriamente pensando che avessi sbagliato io? Che la colpa fosse mia? Ma che razza di angelo era?

“Non guardarmi in quel modo, hai violato uno dei comandamenti religiosi.”

“Mi sono difeso.”

“Attaccare per primo non lo chiamerei difendersi.”

Sbuffai e scossi la testa andando verso la scrivania. Era sul serio convinto che fosse colpa mia, che grande coglione. Mi tolsi la maglia e lo ignorai.

“Sto parlando con te.” Si alzò dal letto. “Dovresti seriamente migliorare questo carattere perché non..”

“Vattene.” Lo interruppi. Mi girai e lo guardai con serietà.

Volevo che ne se andasse, volevo che mi lasciasse solo. Volevo poter starmene tranquillo almeno per una notte, senza qualcuno che mi assillasse o che mi insultasse.

“Ti ho già detto che non me ne andrò finché non avrò compiuto la missione.”

Alzai gli occhi al cielo. Era proprio stupido. “Esci dalla mia camera.”

Steve alzò le sopracciglia e aprì bocca. Rimase qualche secondo in quel modo, senza che alcuna parola uscisse dalle sue labbra, poi le richiuse e annuì.

“Come vuoi.”

Lo vidi sparire davanti ai miei occhi. Inizialmente pensai si fosse semplicemente reso invisibile, ma sentii uno strano cambiamento d'aria nella stanza di li a poco, che mi fece capire di essere rimasto solo.
Sospirai e mi sedetti piano sul letto. Il viso mi bruciava, non mi ero ancora visto allo specchio e né volevo farlo. Forse perché non mi importava del mio aspetto, né della mia salute, né di come fosse ridotta in generale la mia faccia. Non mi importava più nulla di me stesso.
Alzai lo sguardo e guardai fuori dalla finestra, le stelle brillavano sulla distesa blu del cielo notturno, la luna rifletteva la propria luce sulla città già troppo illuminata per via delle decorazioni natalizie. Guardai il cielo e pensai. Pensai a ciò che avevo perso, a ciò che non avevo saputo tenere con me, pensai a ciò che avevo lasciato andare e a ciò che avevo sempre trascurato. Pensai che magari, se avessi fatto scelte diverse, se fossi stato un ragazzo tranquillo e normale magari non avrei perso mia madre, non avrei perso Ella.
L'orologio iniziò a suonare alternando più volte uno strano beep. La mezzanotte era scattata, era ufficialmente natale. Guardai il cielo e sperai che almeno lassù stessero passando un Natale migliore del mio. Chiusi gli occhi e abbassai la testa sospirando.
Realizzai per la prima volta nella mia vita che, nonostante tutto il mio orgoglio, non c’era cosa peggiore al mondo del rimanere completamente soli.

Wings [Cole Sprouse]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora