Capitolo 46

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COLE

Guardai quel tipo davanti a me stare immobile sulla mia poltrona, intento a fissarmi così intensamente che iniziai persino a controllare se stesse sbattendo le palpebre oppure no. Se ne stava li seduto, una caviglia poggiata sul ginocchio dell'altra gamba, le braccia distese lungo i braccioli della poltrona, quegli occhi castani contornati da lunghe ciglia fissi nei miei e le labbra pressate in una linea leggera. Mi stava studiando, sapevo che ogni mia espressione facciale, ogni mio sguardo o movimento gli avrebbe fatto intuire qualcosa. Avevo la paura che avessi potuto dare l'impressione sbagliata, ma qual era il comportamento più innocente da adottare in quei casi? Preoccuparsi per la situazione? Indifferenza totale? Piangere? Sorridere? Oddio, forse sorridere non direi...era pur sempre morto mio padre, la notizia non era delle migliori neanche per me che con lui non avevo alcun rapporto.

Eppure dovevo pur fare qualcosa. Si erano presentati a casa mia di mattina, precisamente due giorni dopo l'accaduto tra Ella e Nicole. Pensai fosse Ella, era solita scordare le chiavi quando andava a scuola, spesso tornava indietro e bussava per poterle prendere. Ma quella mattina non era il mio angelo a bussare alla mia porta. Quattro agenti dell'FBI in uniforme mi si presentarono con sguardo truce, pronti a rendermi colpevole di un omicidio che effettivamente avevo commesso.

Per mia fortuna avevano scelto l'orario perfetto per farmi visita, erano precisamente le 8:20 e né i ragazzi né Ella erano in casa. Solo io.

E ne fui felice, sapevo ormai da qualche giorno che sarebbero venuti a controllarmi e a fare qualche domanda, era questione di tempo, e ho sperato ogni giorno che se fosse accaduto sarei dovuto essere da solo. Riguardava me, non gli altri. Avevo sparato e gettato io il corpo di mio padre e avevo introdotto io tutti gli altri in ogni tipo di guaio, a partire dalle vendite di dosi a scuola fino ai furti d'auto e truffe per poter ripagare i debiti di Richard. Dovevo tenerli lontani almeno da questo.

"Dunque.." disse tutto d'un tratto il tipo davanti a me. Aveva una targhetta sul petto, C. Mc Lawrence citava. Lo guardai in attesa non badando ai rumori strani e ovattati che provenivano dal resto della casa. Gli altri agenti stavano perquisendo ogni angolo di ogni stanza e ancora non mi avevano spiegato il motivo, anche se io sapevo già di cosa si trattava, eppure da bravo innocente dovevo fingere almeno un briciolo di confusione.

"Mi vuoi dire come ti sei procurato quella? E perché hai un livido sul viso?" continuò indicando il cerotto sul petto e poi il mio volto.

"Sono stato coinvolto in una rissa qualche giorno fa, stavo tornando a casa ed era buio. Un tipo è sbucato dal nulla cercando di rubarmi il portafogli ma ho fatto resistenza." spiegai tranquillamente. Mc Lawrence mi osservò con molta attenzione.

"Perché non hai denunciato nulla alla polizia?"

Alzai le spalle con noncuranza. "Era buio e non sono riuscito neanche a vederlo in faccia. Poi era un ragazzino...mi faceva pena e ho lasciato correre."

"Che buon samaritano!" sorrise cupamente prendendosi gioco di me e io mi trattenni con tutte le forze dal dargli una sberla.

"Senta..non so perché siete qui né cosa stanno cercando i suoi colleghi in casa mia, centra con mio padre?"

Mc Lawrence corrugò la fronte alzando leggermente il volto. "Perché pensi centri tuo padre?"

"Perché combina sempre qualche casino. Torna a casa ubriaco, tenta di picchiarmi e il giorno dopo scopro che ha picchiato qualcuno non so dove."

Bugia.

"Tuo padre ti alzava le mani?" chiese con più serietà. Annuii senza aggiungere altro, lui dal canto suo si mise composto sulla poltrona.

Wings [Cole Sprouse]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora