1.8 Sono come te

57 9 29
                                    

Otoha non sente più dolore, né paura.
Non ha più corpo.
È così bello qui, dove le preoccupazioni si disperdono come polvere nel vento. È sola, con se stessa. I pensieri non sono lame pronte a ferirla, né scudi per proteggerla dal mondo. In compagnia di se stessa, è al sicuro.
Un suono spezza la sua solitudine. Una voce chiama il suo nome.
Quel nome.
«Minami.»
No. Lasciami in pace.
Fluttua nel nulla, non ha passato né futuro: il suo volto può immaginarlo come vuole. Appare bellissimo adesso, come quello dell'ultimo sogno. È davvero lei, questa ragazza stupenda sdraiata in un mare di foglie secche? Sta dormendo? Ha un sorriso sulle labbra rosse e piene. Un sorriso intero.
«Anche io sono nell'incoscienza, come te» dice la voce. «Credimi, quando le stagioni inizieranno a cambiare desidererai un corpo per assaporarne gli odori, sentire il sole addosso, ricevere la carezza della pioggia.»
Pioggia? Otoha rabbrividisce, perché sa che là fuori, nel mondo, ha provocato un diluvio senza fine. È colpa sua, come l'assalto dei villici al Padiglione del Ginko. Prega ancora una volta che un dio venga a salvarla, o a distruggerla.
Salvare. Distruggere.
È la stessa cosa, a questo punto.
Basta che il dolore finisca.
Avverte una mano gentile, fresca, sulla fronte. Il tocco segue la linea dei suoi capelli, che sgorgano a ciocche folte come il getto delle fonti d'acqua pura, e le scorrono sotto la schiena, facendole da manto.
«Svegliati, Minami. Il cuore di tuo padre sanguina di paura. Ti ha cercata per sette anni, e tu sei così lontana da lui adesso.»
Io non lo conosco! urla nella mente; ma la bocca della ragazza che vede di fronte a sé è immobile, e accetta la carezza con mitezza. Vuole quel contatto, ne ha bisogno.
La mano della donna è dorata, come sabbia sotto un tiepido sole d'autunno.
Chi è la sconosciuta che le parla senza mostrarsi, e come pretende di domarla così facilmente?
Quell'uomo dice che era mio padre, in un'altra vita... ma a me non importa. Non è già abbastanza difficile questa, di vita? Perché devo occuparmi anche di ciò che è stato prima che nascessi?
La donna continua a sfiorarla con mani di farfalla.
«Puoi rifiutarlo, ma nella tua anima c'è una parte di lui, e nella sua una parte di te. Vi cercherete sempre, Minami: perché non raggiungervi adesso, che siete a un passo uno dall'altra? Stringi tuo padre ora, prima che sia troppo tardi. Un giorno potresti volerlo fare, e trovarti a braccia intere di mare e di terra lontano da lui. Un giorno potresti chiamare il suo nome a squarciagola, e non sentire la sua voce che risponde... mai più, bambina mia, è un tempo molto lungo.»
Otoha inspira, per scacciare il fastidio.
Non ha diritto di parlarle come una madre. Lei una madre l'aveva, prima che scegliesse di lasciarla dentro al fuoco.
Basta pensare alle fiamme perché l'incendio divampi, e devasti con le sue lingue arancioni ogni angolo della sua mente. I ricordi la trascinano di nuovo in quel punto che ha cambiato la direzione del suo destino.
Si trova nel palazzo della sua infanzia, di fronte alla statua di Ebisu che ride di lei. Ogni squama della carpa che il dio tiene tra le braccia luccica spettrale nel calore ambrato. La pelle del viso di Otoha è una colata di lava.
Scappa, dal dolore e dalla distruzione, cercando salvezza, ma il corridoio le scivola sotto i piedi, e le pareti restano ferme. Il fuoco apre voragini nere nei paraventi, dissolve le figure degli arazzi. Una volta, inventava storie per quelle figure, e nella fantasia dell'infanzia le vedeva muoversi e respirare come fossero vive. Tende le mani verso quei vecchi amici immaginari. Aiutatemi. Tiratemi fuori da quest'incubo!
Per gli alberi, i tassi, gli aironi - e perfino per il fiume, sì, perfino per lui è troppo tardi; ma la volpe bianca risponde.
È ricamata in un filo di seta lucente, ha occhi di rubino. Muove le code - quante sono? Non riesce a contarle - e il muso punta verso destra.
Seguimi, dice. E inizia a correre dentro l'arazzo.
Otoha non si pone domande. Quando sei nel fuoco e qualcuno ti mostra il cammino verso la salvezza, tu vai per quella strada. Non importa che sia uno spirito ingannatore, il ricamo di un arazzo, un demone inafferrabile. Ti aggrappi alla speranza che ti regala, ci butti dietro il tuo fiato e tutto, tutto ciò che ti è rimasto del cuore.
Corre nella direzione che la volpe le indica, si getta verso la salvezza; anche se il suo viso ribolle non vuole, non può lasciarsi andare.
Sul fondo del corridoio, incontra una donna.
Lei non era nei suoi ricordi. È certa di non averla vista in quella notte terribile. Come osa penetrare nella sua memoria, e inserire se stessa nella sua storia?
La riconosce, certo, dallo scorso sogno: ha gli occhi di un bruno caldo, indossa la veste iridescente. Il monaco l'ha chiamata Ai.
«Sei stata tu?» mormora, e la collera preme per uscirle dal petto in lingue di fuoco. «La voce nel sogno? La lucciola? Hai provocato tu l'incendio?»
«Non ti farei mai del male, Minami.» La donna abbassa le palpebre. Tende la mano, le tocca il viso. La bruciatura sta sobbollendo, la carne si squaglia sull'osso, ma sotto le sue dita la tortura si ferma. Muscoli e tessuti riacquistano sostanza. Lentamente, le fiamme si allontanano, nei punti in cui la pelle di Ai si congiunge a quella di Otoha.
«Sette anni fa, una kitsune crudele ha appiccato il fuoco a un monastero. Ha cercato di fare del male a tuo fratello Hiroshi, per potersi rivalere su tuo padre. Un riflesso di quell'incendio ti ha trovata e ha distrutto il palazzo di Kaneshima. La volontà della kitsune è potente, il suo odio per noi attraversa i secoli e le dimensioni...»
«Non insultatela!»
La mano di Ai si allontana, il volto di Otoha si spezza di nuovo; lentamente si incidono le famigliari scanalature, le cicatrici ruvide. Ancora una volta le si dispiega addosso la mappa quotidiana della sua mostruosità.
Per un attimo, aveva sperato che Ai avrebbe potuto guarirla, ridarle la vita che con quel volto sano le sarebbe appartenuta.
Stupida, stupida Otoha, che ancora non riesce a rassegnarsi a ciò che che è diventata.
«La kitsune è l'unica ragione per cui sono viva,» le dice, con tutto l'orgoglio di cui è capace. «La sua immagine mi ha guidata fuori dalle fiamme. Quando sono rimasta intrappolata, lei mi ha portata in salvo...»
«I demoni-volpe non fanno nulla senza un tornaconto, Micchan.»
Il cuore le trema all'uso di quel soprannome. Il fratello del sogno, lui la chiama sempre così.
«Quel demone-volpe mi ha salvato. E voi, dove eravate? Se davvero quell'uomo mi ama, e se mi amate anche voi... perché avete permesso che qualcosa di così terribile mi accadesse? Dove eravate, okaasama, mentre il mio viso bruciava?»
Ai inghiotte a vuoto. Sotto le palpebre frementi nasce una lacrima, che le solca il viso: quando rialza gli occhi, Otoha li trova fieri nel loro dolore.
«Io sono solo un fantasma. È questa la ragione per cui sei nata da altri genitori, in una vita che non ti sarebbe dovuta appartenere. Dov'ero? Qui, nei sogni, a gridarti di metterti in salvo. Ma tu non potevi sentirmi.»
La verità colpisce Otoha con la forza della bufera.
«Tu... sei morta?»
Lei annuisce, con lentezza.
«Quando ero solo una neonata. La levatrice mi ha uccisa: mio nonno l'ha ordinato, mio padre non li ha fermati. Mia madre non sapeva, o ha finto di non farlo. Anche io, Micchan... anche io non sono stata salvata.»
Otoha non sa spiegare lo spasmo che le nasce nel petto. Anche io: che parole potenti, che parole pericolose. Finora, tutti hanno sempre temuto di trascinarla al loro livello. Akagawa Otoha è l'intoccabile figlia del daimyō del Fiume Rosso, uscita dal fuoco con la faccia di un cadavere: chi può mai paragonarsi a lei?
Ma questa donna non teme di guardarla negli occhi e dirle: io. Io sono come te.
«Tu hai ancora una possibilità» dice Ai «e lotterò perché tu viva la vita che avresti avuto se fossi nata da me. Anche Eito lo farà.»
«Nei sogni, io...» La ragazza ha bisogno di un lungo respiro, perché le lacrime che bagnano il volto della donna gettano tenebra sui suoi pensieri. «Nella vita che non è stata, ho sposato lo stesso uomo? Date Saburo?»
«Sì.»
«Sono stata felice, con lui?»
Non riesce a scorgere la sua espressione, né a sentire la risposta. Ai si sta dissolvendo in un bianco accecante, e Otoha lo sa, significa che si sta svegliando.
Per la prima volta, non è sicura di volerlo fare.
Vuole restare con la donna dei sogni, parlarle ancora. Non si fida, certo; ma la sua voce non è più una minaccia. Vuole che la guardi di nuovo, la accarezzi, e dica: sono come te, Micchan. Non sei sola.

Fiore di Fuoco (#3 I Samurai della Spada Bianca)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora