2.18 Tra due sposi

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Yūta guidò Nobu e Hiroshi verso la grotta nascosta tra le fronde, un'alcova che i monaci usavano per riporre le provviste in un luogo fresco e isolato. Era lì che, per secoli, avevano celato l'ingresso alle grotte del kami, a cui soltanto l'abate aveva sporadico accesso, ogni qual volta il drago lo convocava.

«Non è empio nascondere l'ingresso alla casa di un dio in un magazzino?» disse Nobu, scettico.

Il giovane monaco non si scompose. «È prudente. Se l'accesso alle grotte fosse stato posto sotto gli occhi di tutti, oggi il drago sarebbe già morto.»

«Quindi, nessuno a parte l'abate ha mai visto il kami?» domandò Hiroshi.

«No, sensei, nessuno. Essere convocati al suo cospetto è un onore troppo grande anche solo per parlarne.»

Non c'erano molti dubbi: questa divinità capricciosa non avrebbe reagito bene all'irruzione che avevano in mente.

Hiroshi osservò lo stralcio della veste sacra, il cui lembo usciva dal kosode del suo discepolo. Avevano una merce di scambio che di certo avrebbe messo a tacere ogni protesta del dio ferito. Avrebbe dovuto ridargli indietro Minami, sana e salva; altrimenti, parola sua, gli avrebbe incenerito quello straccio sacro davanti agli occhi.

Erano ancora in tempo per evitare il sacrificio di Micchan. Dovevano esserlo.

Le immagini della fine di Yasu e di Umi lo tormentavano ogni volta che serrava le palpebre. Aveva già perso troppo. Almeno sua sorella, almeno lei... doveva riuscire a salvarla.

I tre unirono le forze, ma il masso all'ingresso della grotta non si mosse. Un solido strato di muschio e terriccio aveva congiunto i due lembi di roccia. Hiroshi estrasse la freccia di Atsushi dalla cintura.

«Sensei... siete certo di volerla usare per uno scopo così poco nobile?»

Il giovane guaritore deglutì a vuoto. Erano passate ore dall'ultima volta che aveva bevuto un sorso d'acqua.

«La nobiltà è nel fine che dobbiamo raggiungere.»

«Però... si tratta di un manufatto sacro, che vi è stato donato attraverso un sogno.»

Scrollò le spalle, senza distogliere l'attenzione dal proprio lavoro.

«Mio fratello ha un carattere pragmatico. Capirà.»

Grattò via strati e strati di terriccio e muschio, fino a che non ebbe liberato l'apertura dalla vegetazione parassita che l'aveva ricoperta; a quel punto ripose la freccia in cintura. Se avesse provato a usarla come leva, il fusto sottile non avrebbe retto lo sforzo.

«Serve qualcosa di più solido per provare a ingrandire l'apertura» disse Nobu, snudando la spada. Hiroshi lo allontanò con un gesto.

«Non dire sciocchezze. Il wakizashi andrà bene.»

«È di fattura più grezza, si spezzerà appena infilato nel varco.»

«Vale la pena tentare.»

Nobu scosse il capo, inamovibile. «La katana è...»

«La katana è il tuo ricordo di Seishiro-sama. Non sopporterei che le succedesse qualcosa.»

Il volto del samurai si gelò in un'espressione che Hiroshi non riuscì a decifrare. Prima che si decidesse a parlare di nuovo, Yūta agitò davanti a loro il ramo di un albero.

«Signori, che questo possa risolvere i nostri problemi.»

Affilarono un'estremità del ramo con la lama della katana; quindi, il ragazzino conficcò il legno appuntito nell'intercapedine tra masso e roccia, puntò un piede e impresse sulla leva tutta la forza delle sue braccia magre, senza grandi risultati.

Fiore di Fuoco (#3 I Samurai della Spada Bianca)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora