2.11 Dedizione

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Quella notte, Otoha chiuse gli occhi, protetta dalle figure di Eito e Kasumi.

Quanto tempo era trascorso da quando erano arrivati nelle grotte del drago? Il tempo era sospeso in una notte eterna, illuminata da bagliori azzurrini come grappoli di stelle incastonate sui soffitti calcarei. Il drago li aveva persuasi a recuperare le forze e riflettere sulle prossime mosse, prima di tornare a Kaneshima. Eito non sembrava intenzionato ad affrettare la partenza, e Otoha si era aggirata per quelle pareti ristrette come un bambino nel grembo materno. Provava conforto, in quell'oscurità che non pretendeva e non minacciava. Tuttavia, scalpitava. Sapeva che fuori dal ventre della terra la attendeva una verità che avrebbe cambiato la sua vita. Non voleva sapere. Ne aveva bisogno. Temeva il cambiamento, ma sapeva che sarebbe arrivato comunque, che lei l'avesse voluto o meno.

Saburo era davvero colpevole dei crimini di cui il drago lo accusava?

Serrare le palpebre e annegare sotto la superficie tremolante di un sonno leggero era l'unico modo di mettere a tacere quella domanda. Se dormiva, al sicuro tra Eito e Kasumi, poteva fingere che una risposta non esistesse affatto. Saburo era lontano. Il diluvio era lontano. Le conseguenze delle azioni di tutti loro erano sospese, fino a che la terra li cullava.

Le schiene dei suoi compagni di viaggio la riparavano come mura di una fortezza: i bastioni di Otoha erano le loro spalle di vagabondi, le sue mura quelle braccia di guerrieri. Non importava che fossero disarmati. All'occorrenza, avrebbero usato qualunque oggetto per difenderla e difendersi. Una roccia. Il proprio stesso corpo. Otoha era l'unica tra loro a dormire abbracciata all'arco, eppure si sentiva più nuda di un infante.

Se lasci indietro le tue dame, ti scambieranno per la figlia di un umile samurai.

Dove aveva sentito quella frase?

A volte, specialmente quando rincorreva il sonno, si sentiva come se le schegge della vita passata le fluttuassero intorno, scintille evanescenti a rischiarare la notte in cui aveva immerso la propria anima. Quelle luci le passavano accanto, ognuna con la sua voce distinta, e chiamavano il suo nome. Entrambi, i suoi nomi. La pregavano di essere cercate, ascoltate e riconosciute; ma lei ricordava ciò che era accaduto, l'ultima volta che ne aveva seguita una.

Se non avesse avuto le cicatrici a ricordarle ciò che era stato, avrebbe pensato che anche quella goccia di fuoco traditrice fosse soltanto lo strascico di un sogno mai afferrato.

Quella notte - ma era notte davvero? I cristalli azzurrini non cessavano di emanare la loro luce spettrale - Otoha si toccò la guancia. Quella notte, dopo molto tempo, ricordò l'incendio.

Il peso della pelliccia che la copriva si fece insopportabile. Si alzò, sgusciando piano, per non svegliare i suoi compagni. Tutto intorno, i Kodama riposavano indisturbati.

Il respiro concertato di tutti quei bambini, distesi uno sull'altro, tesseva una canzone ipnotica. Formavano piccole crisalidi sotto le coperte di pelo: l'indomani i più grandi sarebbero rinati al mondo per cacciare e depredare i beni di prima necessità dai magazzini dei villaggi vicini, mentre i più giovani avrebbero giocato in quel grembo confitto nella terra, fino a che non fossero stati abbastanza per cavarsela, là fuori.

Contro la roccia riposava anche il drago. Aveva gli occhi aperti, ma anche a distanza era chiaro che non fosse cosciente. Il suo volto era troppo indifeso, il corpo aveva abbandonato ogni eleganza. Somigliava a una statua dipinta ad arte. Racchiudeva in sé un sapore di infanzia.

Otoha si avvicinò, con cautela. Sedette sui talloni e osservò quelle iridi che avevano assunto riflessi azzurrini; tra i capelli spiccavano ciocche verde cupo. Indugiò, sfacciata, su ogni dettaglio del suo volto perfetto. Dopo tutto, quando il resto del mondo dormiva nessuna regola la obbligava a ubbidire al decoro e al pudore. Da quando quella folle avventura era cominciata, decoro e pudore sembravano vesti smesse di un'esistenza precedente, come i furisode dalle ampie maniche che le donne chiudevano in un baule dopo il matrimonio, per passarli alle loro figlie una volta che fossero cresciute.

Fiore di Fuoco (#3 I Samurai della Spada Bianca)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora