2.5 Dove muoiono i gigli-ragno

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L'imbocco della grotta era una voragine di cui era impossibile scorgere il fondo: come una predatrice paziente, spalancava le fauci, pronta ad accoglierli nel ventre della terra. I petali dei gigli-ragno, squassati dalla tempesta degli ultimi giorni, iniziavano ad avvizzire tutto intorno a loro.

Otoha accarezzò una delle corolle. I petali le tremarono tra le mani.

In questo luogo, anche i fiori dei morti muoiono.

Si volse verso Kasumi ed Eito. I Kodama li circondavano, con quelle picche tanto più alte di loro. Ingenui. Cosa avrebbero potuto fare con quei pungoli, se il ki del monaco si fosse scatenato di nuovo?

«Percepisco il vostro nervosismo» sorrise Ryūsuke «Dubitate della sincerità della mia ospitalità?»

Otoha ritrasse le dita. Il drago in forma umana aveva la capacità di farla sentire come una ragazzina ripresa dal precettore, e questo non le piaceva.

Eito sorrise, calmo.

«Ti prego, fai una concessione alla nostra debolezza umana, kami-sama. Ci chiedi di entrare nel tuo antro, senza darci alcuna garanzia che le mie figlie ne usciranno con la loro vita.»

«Non desideri la stessa garanzia per te, strano uomo?»

«Voglio soltanto la certezza che le mie ragazze non saranno sfiorate. Biasima questo povero monaco, Ryūsuke-dono, ma il mondo in cui viviamo ci insegna a non fidarci di quello che non possiamo comprendere, e la tua natura divina di certo è tra queste.»

Un luccichio divertito passò sul volto del drago. «Sei abile con le parole.»

«Sono soltanto un umile monaco.»

«Umile, forse. Monaco, non ne sono convinto. Il sentiero che cammini ti porta verso l'oscurità, invece che all'illuminazione.»

L'angolo della bocca di Eito si torse in un sorriso a metà. «Si dice che la notte sia più buia poco prima dell'alba.»

Il drago rise. Minami strinse il pugno lungo il fianco: come osava quella creatura prendersi gioco di suo padre? Non importava che fosse un dio. Non doveva permettersi di schernirlo, nessuno doveva. Altrimenti, le frecce della sua faretra avrebbero aperto un varco nella carne di quell'insolente, e gli avrebbe impartito la lezione che meritava.

Inspirò, riprese il controllo del proprio corpo. Doveva ricacciare le emozioni della vita passata sotto la pelle.

La risata di Ryūsuke echeggiava ancora nella notte, quando disse:

«Mi piaci, non-monaco. Nascondi baldanza dietro parole miti: c'è in te un contorto nodo di contraddizioni, e la mia stirpe ama gli enigmi. Per questo, ti darò quella che, credo, voi chiamiate garanzia

Scostò la manica della cenciosa haori; distese il palmo verso l'alto.

«Ichiro. Dammi la tua lancia.»

«Ryūsuke-dono...»

«Mi hai sentito? Ubbidisci.»

Il ragazzo strinse i denti, chinò il capo. Gli porse l'arma: il drago la usò per aprirsi un sorriso rosso sulla mano.

Dunque, pensò Otoha, il sangue di un kami ha lo stesso colore di quello di un mortale.

«Scambiamoci il più primordiale tra i patti, leggiadre signore, e sarete certe che nessuno nelle grotte potrà farvi del male... incluse le grotte stesse.» Ammiccò, in direzione di Otoha. «Vi basta, come dimostrazione delle mie buone intenzioni?»

L'erede del clan Akagawa si sentì sfidata da quello sguardo. Non sarebbe stato suo costume non raccogliere una tale istigazione.

Strinse la punta della lancia. Si impedì di sussultare quando la lama affondò.

Fiore di Fuoco (#3 I Samurai della Spada Bianca)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora