1.15 Maledizioni

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Erano dieci, tra bambini e bambine. Nobu e Hiroshi tolsero loro di dosso i teli bianchi, ricomposero i cadaveri, lavarono i volti. La piccola serva trovò il fratello, e lo pianse senza emettere un suono.

Li seppellirono, a uno a uno. Nobu ascoltò, mentre Hiroshi pronunciava parole del rituale buddhista con la precisione di un monaco. Che strambo ragazzo, che se ne andava in giro con l'aspetto di un rōnin, la parlantina di un mercante, le abilità di un guaritore, e la pietà di un uomo consacrato.

Nobu si aspettava che avrebbe ucciso le guardie; invece, Hiroshi chiese di lasciarle andare. La sua voce era spenta. I suoi occhi si erano riempiti di una pioggia che non voleva scendere.

Cosa poteva fare, Nobu, per ridare loro calore? Avrebbe accolto con gioia anche le fastidiose canzoni del ragazzo, piuttosto che assistere al quel suo triste mutismo.

L'unico luogo in cui trovarono riparo per la notte fu una grotta. La bambina li seguì: dove altro avrebbero potuto lasciarla? Quando anche l'ultimo cadavere fu bruciato, l'aria si fece fredda, pregna di umidità. Forse, il guardiano delle acque era davvero contrariato perché avevano rubato le offerte. A Nobu non importava. Al posto di Hiroshi, non avrebbe trovato il coraggio di sfidare l'ira di un kami; eppure, ora che aveva visto quei volti bluastri andare al fuoco senza che nessuna dolcezza di madre dicesse loro addio, sapeva che non c'era altro da fare. Era stata la determinazione del suo compagno di viaggio ad aprirgli gli occhi.

Che creatura peculiare, Hiroshi.

La bambina dormiva, accoccolata accanto al grosso cane dal pelo fulvo. Il guaritore sedeva all'imbocco della grotta, con le ginocchia raccolte al petto. Sembrava tanto più giovane dei suoi anni, adesso. Alla luce del focolare che avevano acceso per scaldarsi, il suo volto era livido come quello dei bambini che non erano arrivati in tempo per salvare.

Nobu avrebbe potuto parlargli, farsi strada nel suo silenzio, aiutarlo a mettere in parole il dolore che lo stava schiacciando. Ma farlo significava rompere di nuovo il voto. Ogni parola che il samurai pronunciava era il passo incerto su una corda sospesa tra due montagne. Una sfida mortale con se stesso, ogni volta più rischiosa.

Se solo avesse potuto chiudere gli occhi, arrivare a Kaneshima, fingere che quell'incidente di percorso non fosse mai esistito. Se solo avesse potuto continuare la sua vita come prima, nel suo mutismo inviolato e rassicurante.

Eppure, c'era dentro di lui la consapevolezza di aver varcato un ponte ormai crollato. Non poteva tornare indietro, né avanzare. Qualcosa mancava a quella notte, e la incagliava in un presente che sembrava non scorrere.

Erano le parole di Hiroshi a bloccare il tempo. Le stesse che aveva trascorso tutto il viaggio a deprecare, e a sopportare con sufficienza. La loro assenza saturava l'aria e rallentava il passaggio delle stelle nel cielo.

Una macchia chiara attraversò l'ingresso della grotta: Akio arrivò trotterellando, con un grosso ratto tra le fauci. Lasciò cadere la sua preda tra Nobu e Hiroshi, e li guardò entrambi, miagolando in tono petulante. Quando realizzò che nessuno dei due lo avrebbe ringraziato per il suo tributo, scosse la testa, si leccò una zampa, e spinse il ratto con il muso, verso Hiroshi.

Nobu sorrise. Nella fiera indipendenza di quegli animali si celava una dolcezza molto più grande di quanto chiunque avrebbe mai creduto.

«Che orrore» mugugnò il ragazzo. «Di' alla tua bestiaccia che l'ultima cosa di cui ho bisogno è ripulire i suoi scarti.»

«Ha rinunciato al suo cibo. È un gesto gentile.»

Hiroshi sussultò, nel sentire la sua voce. Gli rivolse uno sguardo incerto.

Fiore di Fuoco (#3 I Samurai della Spada Bianca)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora