2.9 Se ti fidassi di me

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Hiroshi camminò attraverso la notte, falciando la cortina di vapore che si alzava dalla sorgente.
L'odore dello zolfo aveva piantato i suoi uncini nelle narici, fino quasi a farlo lacrimare; eppure, proprio quel sentore corrosivo gli aveva liberato le vie respiratorie. L'aria densa e pungente si era fatta strada nella mente e l'aveva ripulita. Anche i dubbi di Hiroshi fluttuavano tra quelle nubi benefiche: se ne lasciavano trasportare, e così facendo non gli gravavano più tra le tempie.
Non era la prima volta che si muoveva nel buio attraverso una vegetazione sconosciuta, ma in tutti quegli anni di vita vagabonda non si era mai sentito così smarrito. Cercava un segno della presenza di Nobu. Nel farlo, gli sembrava di camminare su un filo di seta teso tra due montagne. Ogni fruscio nascondeva una corte di mormorii e bisbigli; ogni angolo di tenebra custodiva una vita brulicante, racchiusa dentro la tenera corolla di un fiore. Ma c'era anche un sapore pungente, in quella dolcezza; una punta di pericolo che contaminava il senso di meraviglia infantile. Era suo dovere restare in allerta. Troppe persone dipendevano da lui, adesso.

Una nebbia impalpabile gli abbrancò le caviglie. Era arrivato alle sponde della sorgente. 

«Chi c'è laggiù?» disse. «Nobu, sei tu?» 

Gli occhi si erano abituati all'oscurità a sufficienza da distinguere la figura immersa nelle acque. Gli dava le spalle: grazie a un raggio di luna emerso dalle nubi, riusciva a seguire con lo sguardo la linea che univa la nuca, su cui si attaccava qualche ciocca dei capelli raccolti, al chiaroscuro scolpito delle scapole.
Solo una parte dell'ampia schiena del samurai emergeva dall'acqua: i suoi vestiti erano stati abbandonati a riva. Il gatto vi si acciambellava sopra, ronfando fusa beate, mentre la mano del suo padrone gli accarezzava distrattamente la gola. 

Akio? Come diamine li aveva raggiunti?

Si avvicinò. I due non diedero segno di sentirlo.
Arrivato al bordo della sorgente, Hiroshi picchiò due volte il wakizashi su un sasso. Akio non si scosse; Nobu invece piegò la nuca all'indietro e lo guardò dal basso.

Hiroshi incrociò le braccia al petto.
«Ti sembra il momento adatto per fare un bagno?»

«Ne ho bisogno» disse Nobu. Dalla durezza nel suo tono, capì che non stava parlando soltanto di un necessità fisica. Quel metallo si stemperò quando aggiunse, con una punta di ironia: «E credo di non essere l'unico. Dovresti unirti a me.»

«Abbiamo una sola spada, devo ricordartelo? Se abbasso la guardia anche io, siamo spacciati in partenza.»

«Le pareti rocciose riparano la gola su tre lati, ma al contempo sono ripide abbastanza da impedire l'appostamento di un ipotetico nemico.»

«E se gli uomini del governatore ci sorprendessero all'improvviso?»

«Saremmo finiti comunque, con una spada sola in due. Tanto vale andare incontro alla morte puliti.»

Senza che Hiroshi lo volesse, una risata sommessa gli lasciò le labbra. Seguì una stilettata di gelo che gli appesantì gli arti, quando si rese conto che Nobu non stava scherzando. Attendeva una risposta all'invito.

Voleva fare un bagno, sì, e togliersi di dosso l'umidore cattivo di tutti quei giorni di pioggia, il sudore del viaggio, la preoccupazione per la sua famiglia. Voleva farlo, anche se significava essere nudo e indifeso accanto a quell'uomo che aveva il potere di confonderlo e farlo sentire incredibilmente vulnerabile.

Non gli piaceva, quella sensazione di poter andare in pezzi da un momento all'altro. Pensava di averla sepolta, con il suo nome sbagliato e tutto il resto del suo passato.

«Sei irriverente. Te l'hanno mai detto?»

«Se nell'ora in cui sono stato assente sei diventato un gran maestro, ebbene, ti chiedo perdono. Sono pronto a mostrare tutta la mia riverenza, lo giuro.»

Fiore di Fuoco (#3 I Samurai della Spada Bianca)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora