2.10 Toitoi

55 11 57
                                    

Sul pelo dell'acqua, il fumo sulfureo danzava con il chiarore della luna. I suoi vapori avvolgevano la mente di Hiroshi nel torpore. Avrebbe potuto chiudere gli occhi, a quel punto, e addormentarsi di nuovo.

Se avesse concesso al sonno di prenderlo in quel luogo improbabile, magari sua madre sarebbe arrivata da lui. Aveva bisogno di un sogno. Uno soltanto, per capire come procedere da quel momento in avanti.

Spalancò le palpebre, quando udì lo sciabordio deciso di un corpo che usciva dall'acqua. Nobu si stava issando sulla riva.

Sentì le gocce che scivolavano dal corpo del samurai, turbando lo specchio della sorgente. Ognuna incise una crepa nel silenzio sussurrante. Hiroshi si impose di non guardare.

Le vesti frusciarono sul corpo di Nobu. Il gatto miagolò: un suono basso, che rimbombò nel ventre, restituendo una nota sinistra. Gli fece eco il tintinnio del fodero che scivolava dal wakizashi.

Hiroshi si volse. «Nobu...»

«C'è qualcuno.»

Il guaritore strinse un'imprecazione tra le labbra. Afferrò i propri abiti, emerse, se li gettò addosso. Il tessuto aderì alla pelle bagnata. Il vapore delle sorgenti scioglieva la luce della luna in pozze confuse. I fruscii si moltiplicarono, crescendo in un coro sibilante.

Hiroshi cercò tra il nero e il viola, nei volumi più chiari tra le sagome degli alberi. Una volta che ebbe stretto il nodo degli hakama, la figura aveva acquistato forma. Era emersa dalla nebbia. Nata da essa. Come...

«Mumei» ringhiò.

Fece per strappare la spada dalle mani di Nobu: il samurai gli sottrasse l'elsa prima che potesse afferrarla. Gli pose il braccio davanti.

Gli stava intimando di restare indietro?

Ah. Se credeva che si sarebbe riparato dietro la sua schiena, non lo conosceva affatto.

Il demone fluttuava a un braccio dal suolo; una matassa di capelli incolti le danzava intorno al capo. Cos'erano quelle strisce scure che le brulicavano sulle braccia? Contorte come rami. Ma vive. Pericolose.

Serpenti. Scivolavano dalle maniche, le cingevano la vita, strisciavano sull'orlo del kimono.

In che razza di yōkai si erano imbattuti?

Sotto un copricapo adorno di catene d'argento, la donna li guardò con occhi vuoti.

«Quanto tempo, Nobunori.»

«Non può essere. Tu... tu non puoi...»

Hiroshi portò la mano al fianco, accarezzando il fusto della freccia di Atsushi. Era tutto ciò che di affilato poteva usare. Avrebbe dovuto farsela bastare.

«Nobu...»

Il samurai non mosse un muscolo: i suoi occhi erano fissi sui serpenti guizzanti. Il guaritore gli afferrò il braccio. Perché non si riscuoteva?

«La maledizione. Devi sfruttarla, adesso! Pronuncia il suo nome.» Ancora, l'uomo non si mosse. «Cosa stai aspettando?»

Le catene d'argento sul copricapo della donna risuonarono come una cascata di cristalli. Il demone si gettò in avanti, a velocità inumana.

«Che stai facendo, idiota!» gridò Hiroshi, strattonando Nobu «Vieni via!»

Il samurai non si mosse. Non alzò nemmeno la spada. Quando il demone giunse a tre dita dal suo volto, si fermò. Il tempo si fermò con lei. Le stelle smisero di correre nel cielo.

Lo yōkai scoppiò in una risata. Dentro a quel suono stridulo, scomparve.

«Dov'è andata...?»

Fiore di Fuoco (#3 I Samurai della Spada Bianca)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora