2.6 Il canto delle grotte

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La discesa nelle grotte non sembrava avere fine.

Avevano riposto i sandali nelle sacche, e ora, a ogni cauto passo lungo il cunicolo inclinato, i piedi opponevano una strenua resistenza contro la roccia umida. I Kodama avevano tolto le maschere, rivelando volti ricoperti di infantili girigori, come avessero tuffato le mani nella polvere di riso della madre per disegnarsi a vicenda sulle guance figure senza capo né coda.

Ogni volta che si voltava per assicurarsi che Eito e Kasumi li stessero seguendo, Otoha incontrava lo sguardo truce di Ichiro, che chiudeva la fila per assicurarsi che i loro ospiti non giocassero brutti scherzi. Da qualche parte all'imbocco di quel cunicolo, un raggio di luna doveva essere riuscito a seguirli, perché una luce violetta faceva galleggiare il volto del Kodama nel buio, come se fosse privo di corpo.

«Avremmo dovuto portare una fiaccola» disse Kasumi. La sua voce, di solito così quieta, scivolò in un respiro di tempesta tra le pareti strette.

«Ve l'abbiamo detto» sibilò Sumire, che seguiva a ruota Ryūsuke, come se volesse porre quel gracile corpo a difesa del suo signore. «Tra poco non ce ne sarà bisogno.»

Il drago proseguiva in testa al gruppo: a mano a mano che scendevano lungo il cunicolo, qualche cupo riflesso verde e blu gli si intrecciava alla chioma sciolta. Che fosse anche quello uno scherzo della luce spettrale?

Davanti a Otoha, la bambina chiamata Noriko si voltava nervosa ogni volta che la sentiva prendere fiato. Le sopracciglia aggrottate non avevano ancora sciolto un giudizio su di loro.

La piccola scivolò. Otoha le afferrò il braccio appena in tempo per reggerla in piedi. La pelliccia che copriva le spalle di Noriko era scivolata a sufficienza da mostrare la bruciatura intorno al collo, un segno spesso un dito intero, ancora livido.

I loro occhi si incrociarono; rossa in viso, Noriko scostò bruscamente il braccio. Il suo broncio tremava, indeciso tra la gratitudine e la paura.

«È un brutto graffio» mormorò Otoha. «Te lo sei fatto combattendo?»

Noriko scrollò le spalle. «Me l'hanno fatto quelli con cui vivevo prima.»

«La tua famiglia?»

«La famiglia di Noriko» intervenne Ichiro, duro «adesso siamo noi.»

Otoha non disse nulla, ma cercò gli occhi del monaco, senza trovarli. Sembravano distratti a osservare la strada di fronte a lui.

Quella pretesa leggerezza l'avrebbe ingannata solo poco tempo prima. Adesso, la ragazza riusciva a vedere qualcos'altro nell'atteggiamento di Eito. Era la compassione a tirare i suoi lineamenti, dietro la maschera placida e distaccata che si forzava a indossare.

Per una volta, i loro sentimenti si trovavano in sintonia.

Chiunque fossero questi guerrieri-bambini, non avrebbe voluto trovarsi al loro posto in questo momento. Preferiva camminare sul filo della promessa stipulata con il drago, piuttosto che avere di nuovo sette anni, ed assistere impotente mentre un gruppo di estranei che si era presentato con intenzioni bellicose penetrava nella sua casa.

Quando la luce violetta si stemperò in un turchese acceso, il budello di roccia si schiuse in un'ampia anticamera dalle pareti calcaree. Otoha sgranò le palpebre di fronte alle stalattiti incrostate di cristalli, che scendevano dal soffitto a incontrare le stalagmiti in un bacio di fragile bellezza. La volta della grotta sembrava reggersi su quelle colonne, tanto sottili al centro quanto robuste alle radici.

Trovò la stessa meraviglia nelle espressioni dei suoi compagni di viaggio, che osservavano senza fiato i folti agglomerati di muschio – o forse erano alghe? Potevano le alghe nascere dalla roccia? – da cui la luce azzurrina si emanava.

Fiore di Fuoco (#3 I Samurai della Spada Bianca)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora