2.20 La Leggenda del Serpente

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Il daimyō si alza in piedi. La raggiunge. Le maniche della veste gocciolano sangue; i ricami dorati scuriscono in un bronzo venato di nero.

Prima che Minami possa ribellarsi, Saburo la strattona per i capelli.

«Tu... inutile cagna traditrice. Hai visto cosa ha portato, il tuo cospirarmi alle spalle?»

«Stavo cercando di salvarti! Anche Yūta" la voce si spezza «anche Yūta non desiderava altro!»

«Sprechi ancora fiato per difendere quel bastardo?»

Saburo la spinge a terra. Minami scivola sulla distesa di sangue, cade a carponi accanto al cadavere ancora caldo di Yūta. Guarda i suoi occhi vuoti. Se non vuole raggiungerlo, deve pensare in fretta.

«Uccidimi, mio signore, e scatenerai una guerra con l'isola di Ō. Mio padre è un vassallo del clan Ishikawa... se perdi l'appoggio dei feudi del sud, come potrai reclamare il potere che ti spetta come Shogun delle Isole centrali?»

Saburo esita. Là fuori, nel trambusto della battaglia, Eito chiama il nome di Minami.

Lei lo ignora. Non può vacillare, adesso.

«Davvero credevi che non avessi capito? Mio onorato sposo... conosco l'ambizione che covi nel cuore. So che sei nato per il potere... ma la gente non ti seguirà, se dichiari guerra al cielo. Restituisci la veste, Saburo: non ne hai bisogno. Conquisteremo le Cinque Sorelle con il tuo valore.»

«Saresti al mio fianco, se lo facessi?»

Lo sguardo che lui le rivolge non è ironico. La sta ascoltando. Le crederà, se saprà giocare la sua mano. È l'ultima possibilità che le rimane.

«Certo, sarò accanto a te. Lo sono sempre stata.»

«Voleva ostacolarti, mio signore" dice la volpe. «Questa donna ha cercato di rubare la veste che ti darà la forza di ottenere ciò che vuoi.»

«La veste non è la strada» ribatte Minami. «L'intelligenza lo è. Date-dono... ascoltami. La situazione della nostra terra accende il mio cuore di rabbia, lo ferisce quasi quanto ferisce il tuo. Con quale autorità il cosiddetto shogun Kawakami ha spostato la corte imperiale nell'isola di Atama? Dovrebbe risiedere ad Hasa, invece, che è il centro dell'equilibrio delle Cinque sorelle. Dovrebbe risiedere nelle tue mani, che saprebbero come governare il nostro paese con la fermezza di cui ha bisogno. Tutte queste guerre intestine per le eredità dei feudi sarebbero spazzate via. Anche le rivalità tra i Figli dei Fiumi smetterebbero di esistere, perché le loro correnti affluirebbero a un unico lago. Tu sei quel lago. Tu puoi essere la salvezza della nostra terra.»

Otto lingue d'ombra sfiorano la pelle di Minami. La lambiscono, come a saggiarne il sapore. Quel potere non proviene da Saburo: è la Concubina a emanarlo.

Sono code. Bianche. Folte.

Gli occhi della donna sono due gocce d'ambra, adesso.

«Piccola stupida» sussurra la Concubina al suo orecchio. «Non capisci? Il nostro amato signore può essere molto di più di un comune Shogun. Può diventare un dio.»

Saburo si china su Minami. Con le spalle bloccate dalla Concubina e la vita cinta dalle sue code, la ragazza non può retrocedere, né fuggire. Non ha scampo.

«Forse tu non conosci la  leggenda del serpente che voleva diventare un drago.»

«Quella donna ti ha avvelenato i pensieri... Ti prego, Date-dono, non lasciare che un demone ti porti alla rovina.»

Lui sembra non averla nemmeno sentita. Le sorride, come se si apprestasse a raccontare una storia a un bambino.

«La sua ambizione non era vana, lo sai? I testi sacri ci dicono che uccidere un essere superiore è un atto impuro e che il nostro ki ne sarà macchiato senza rimedio, ma gli Annali dei Mille Tramonti sono stati censurati dai monaci perché la conoscenza non si diffondesse. Eppure, esiste ancora la prova che chi si è sporcato il karma può ambire alla grandezza, se possiede coraggio sufficiente per andare oltre agli attaccamenti terreni.» 

Fiore di Fuoco (#3 I Samurai della Spada Bianca)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora